Lo sapevate che un’assurda legge italiana impedisce a tutti i figli non riconosciuti di avere notizie sui propri genitori biologici fino al compimento del centesimo anno di età?! Lo sa sicuramente Alessandro Bardani, regista de Il più bel secolo della mia vita, una dramedy che pone il focus su una vera e propria falla burocratica.
La vicenda vede come protagonisti un centenario e un ventenne. L’unica cosa che accomuna questi due è il fatto di non aver mai conosciuto il padre e la madre naturali. Gustavo, interpretato da Sergio Castellitto, è un anziano che, giunto alla fine del suo cammino, vuole godersi appieno ogni secondo del tempo che gli resta. Esso non ha mai avuto interesse a conoscere le sue radici.
Poi c’è Giovanni, che ha il volto di Valerio Lundini. Egli è invece un ventenne intransigente, il cui unico obiettivo è quello di conoscere le proprie origini.
La commedia all’italiana ha contrapposto spesso personaggi agli antipodi che loro malgrado si ritrovavano a dover convivere in un determinato contesto. Mi riferisco a pellicole del calibro de Il sorpasso e Profumo di donna. Non è un caso che i film appena citati portino entrambi la firma del maestro Dino Risi, uno dei registi più acuti nel fotografare la società italiana in chiave di commedia.
Bardani, alla sua prima e si spera non ultima prova da regista, compie un’operazione simile, facendo incontrare due individui dalle caratteristiche opposte che si riveleranno poi complementari. Castellitto è straordinario nei panni di un uomo che, nonostante l’età, è ancora innamorato della vita. L’attore romano cambia registro con grande disinvoltura, alternando con perfetto equilibrio i momenti drammatici a quelli comici. Lundini, al suo primo ruolo cinematografico importante, dimostra di avere stoffa.
Il celebre comico, noto al grande pubblico soprattutto per merito di un programma da lui condotto sulla Rai, offre una performance misurata che convince. È perfetto nel ruolo di questo “giovane vecchio” puntiglioso che non riesce a lasciarsi andare. Degna di nota è anche Carla Signoris, la quale incarna una donna molto importante nella vita di Giovanni. Non posso dire di più.
Brunori Sas scrive appositamente per il film il brano La vita com’è. Quest’ultimo è un autentico valore aggiunto. Il seguente estratto della canzone è riconducibile al senso de Il più bel secolo della mia vita: “Avere vent’anni o cento non cambia poi mica tanto se non riesco più a vivere la vita com’è.”
Bardani, con l’ausilio in fase di sceneggiatura di Luigi di Capua, Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli, fa anche riflettere lo spettatore sul fatto che un essere umano se non sa da dove proviene è incompleto. Del resto, citando la Suor Maria de La grande bellezza di Paolo Sorrentino, le radici sono importanti.
All’inizio de Il più bel secolo della mia vita a tal proposito vediamo Gustavo in età adolescenziale portare sulle spalle una croce. Questa simboleggia che il ragazzo sarà segnato per tutta la vita dal suo status di orfano. L’opera prima in questione, tratta dall’omonima pièce teatrale scritta dagli stessi Bardani e Di Capua, riesce ad eludere la retorica non prendendosi mai esageratamente sul serio.
Segno di una certa onestà intellettuale da parte degli autori. Il più bel secolo della mia vita è un felice esordio registico che fa divertire e pensare. Lo si può anche considerare come un film d’impegno civile che nel suo piccolo prova ad accendere i riflettori su una norma senza senso che andrebbe assolutamente cambiata. Ciò non vuol dire che un bambino che cresce con una famiglia che biologicamente non è la sua non debba considerare i genitori acquisiti come se fossero a tutti gli effetti il padre e la madre autentici. Questo perché i figli sono di chi li ama non di chi li mette al mondo!
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