Direttamente dall’ottantesima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia approda sul grande schermo Io capitano, il nuovo film di Matteo Garrone. Quest’ultimo realizza una pellicola incentrata sul viaggio migratorio che intraprendono centinaia di migliaia di persone dall’Africa verso l’Europa: in particolare il regista poggia il suo sguardo su Seydou (Seydou Sarr) e Moussa (Moustapha Fall), due adolescenti che inseguono il sogno di diventare musicisti. L’ambizione li porterà ad andarsene dal loro paese natìo per tentare di raggiungere la tanto bramata Europa.
Il regista di Gomorra e Dogman affronta uno dei temi più scottanti degli ultimi anni trascendendo i luoghi comuni. Io capitano è una pellicola indubbiamente interessante. Uno dei suoi principali punti di forza è proprio quello di rivelarsi scevra da qualsivoglia retorica. E in opere come questa ciò non è affatto scontato.
Garrone mostra al pubblico una vera e propria odissea omerica a tinte fiabesche che in alcuni frangenti non può che scuotere lo spettatore. Le sequenze in cui i migranti affrontano le insidie del deserto, quelle dove assistiamo alla loro tortura e le scene dove vediamo la traversata nel Mediterraneo sono ad alto tasso emotivo. Azzeccata inoltre risulta la scelta di far parlare tutti i personaggi nella loro lingua madre. In questo modo infatti si enfatizza il fatto che venga narrata la migrazione esclusivamente dal punto di vista dei migranti. Un plauso alle performance di Seydou Sarr e Moustapha Fall, due giovani esordienti talentuosi che hanno tutte le carte in regola per diventare stelle del cinema.
Per certi versi l’ultimo lavoro di Garrone lo si può definire come un lungometraggio di formazione dal sapore neorealista che strizza l’occhio a Pinocchio. Sono presenti infatti diversi punti in comune tra la celebre favola di Collodi e Io capitano. Quest’opera sta ottenendo il consenso pressoché unanime sia di pubblico che di critica, tuttavia non è esente da difetti e trovo che la stiano sopravvalutando.
In certi momenti infatti la pellicola è eccessivamente documentaristica e manca di mordente. La sceneggiatura, scritta a quattro mani da Massimo Ceccherini, Massimo Gaudioso, e dallo stesso Garrone, talvolta ammicca troppo allo spettatore.
A mio avviso Zalone nel 2020 con Tolo Tolo, servendosi della comicità irriverente che lo contraddistingue, sotto certi aspetti raccontò la tematica della migrazione per il grande pubblico con maggiore efficacia. Il seguente aforisma del rinomato scrittore francese Antoine De Saint-Exupery risulta decisamente in linea col significato più profondo di Io capitano: “Essere un uomo significa essere responsabile. Significa provare vergogna alla vista di quella che sembra essere la miseria immeritata. Significa essere orgogliosi di una vittoria dei propri compagni. Significa sentire, quando si posa la propria pietra, che si sta contribuendo alla costruzione del mondo.”
Al netto dei difetti che presenta, quest’ultima fatica di Garrone è comunque da vedere. Se ci pensate tutti noi, ogni giorno, che sia fisicamente o interiormente, intraprendiamo un viaggio che ha come meta la stessa oasi di felicità che inseguono Seydou e Moussa.
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