10 finali che te lo fanno ammosciare

La scorsa volta abbiamo redatto una lista dei dieci finali di pellicole che te lo fanno diventare duro. In maniera, meno sgarbata, che ti tengono sempre con il fiato sospeso per poi arrivare al massimo godimento e ad una eccitazione spontanea quando la trama giunge al termine. Oggi, invece, andremo a scovare quei finali che sinceramente scompongono un po’ tutte le scene precedenti; ovvero quelli che letteralmente te lo fanno ammosciare. Diciamo che sarà dura poiché qualsiasi pellicola, anche la più orribile e pacchiana, ha il sacrosanto diritto di essere creata. Tuttavia mi spingo oltre a cercarne qualcuna.

10- La nona porta: Johnny Depp è un ottimo esperto di libri antichi nel film di Roman Polanski del 1999. Peccato che tra indagini e scoperte di libri esoterici e diabolici, che hanno a che fare con lucifero in persona, si arrivi ad un finale tanto scontato quanto blando, privo di quell’energia che c’era all’inizio. Dean Corso, Depp, è spinto da Boris Balkan, un ricco bibliofilo di New York, in un’indagine su un libro intitolato “Le nove porte del regno delle ombre”, scritto da Aristide Torchia. Vista la presenza di altri libri uguali a quello, Balkan vuole sapere se il suo sia veramente la copia originale. Il motivo? Evocare il diavolo, che domande. E dopo ispezioni e avventure spericolate in Portogallo, a Parigi, inseguito ed aiutato da una bionda misteriosa, ecco arrivare al momento finale. Balkan, convinto di essere entrato in contatto con Satana, si da fuoco dando prova della sua nuova natura. Ma il libro non è originale e finisce solo per morire sotto atroci dolori. Corso e la ragazza (Emmanuelle Seigner), si abbandonano ad una notte di sesso mentre il castello continua a bruciare. Il mattino seguente la donna scompare misteriosamente, lasciando però un biglietto sul parabrezza della macchina del protagonista. Tornerà in Portogallo come scritto sul foglio di carta senza trovare i due vecchi restauratori di libri. Trova bensì una pagina che del vero manoscritto raffigurante la ragazza. Intuisce che quella stessa donna nasconde il segreto che regge tutta la storia. Tornato al castello Corso varca la porta verso una nuova dimensione; sarebbe a dire quella verso gli inferi. Le ultime scene che vanno a chiudere il film non sono all’altezza di quelle precedenti. Se era partito come un buon film thriller e di mistero, non scontato, termina proprio con la banalità.

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9- Norbit: Ci si aspettava il solito film bello e grasso di Eddy Murphy ma per tutto il film non si fa che detestare solo l’enorme e malvagia Rasputia Latimore e i suoi fratelli. Si ride ma solo alcune volte, rispetto alla fortunata serie del “Professore Matto”. Il finale è anche peggio. Il matrimonio con i due Pappa sul valore dell’amore e del matrimonio e la rissa fuori dalla chiesa fra i cittadini e Rasputia. Soprattutto  quando il Signor Wong (Eddy Murphy in versione cinese) scaglia il suo arpione nel posteriore della grassona che scappa assieme ai tre fratelli. Norbit e la giovane Kate possono finalmente sposarsi sotto l’albero di quando erano bambini.

Norbit

8- Titanic: Tanto si è parlato di quella maledettissima porta e sul fatto che anche Jack sarebbe potuto benissimo salire assieme a Rose. Invece rimane in acqua e muore congelato. Eppure non mi soffermerei tanto sulla porta, quanto agli ultimi fotogrammi della pellicola, quando la vecchia getta il diamante in mare e nello stesso momento il miliardario Brock Lovett (Bill Paxton) getta il sigaro che avrebbe dovuto accendere se avesse trovato il prezioso oggetto. Lasciando stare il fatto che sprechi migliaia di dollari per andare in fondo all’oceano, all’interno del relitto del Titanic e solo per un diamante; e nemmeno è sicuro che ce l’abbia. Ma la storia in se non fa acqua, se avete capito la battuta. È il finale che di certo non è dei migliori. E poi lo sanno tutti che ce l’aveva la vecchiaccia sin dall’inizio.

Titanic

7- Collateral: Michael Mann gira un thriller e ci porta all’interno di un taxi notturno. Max (Jamie Foxx), è un tassista che per una strana coincidenza si ritrova a portare in giro un sicario di nome Vincent (Tom Cruise). L’uomo dovrà uccidere ben cinque testimoni su una inchiesta di narcotraffico fino ad arrivare ad Annie, il procuratore distrettuale che poco prima Max aveva accompagnato a casa con il suo taxi. All’inizio Max è il classico uomo tranquillo amante della pace e del dialogo ma alla fine si ritroverà ad uccidere egli stesso il pericoloso killer che si lascia andare alla morte con una battuta filosoficamente nichilista, così com’è stata tutta la sua vita. La prima parte, sebbene già vista, è però leggermente rivisitata secondo anche gli standard hollywoodiani e lo stile di Mann. Nel finale si perde quel brio sebbene un po’ sommesso dall’interpretazione di Cruise che usa ancora quell’aria da bravo ragazzo. Nel momento in cui Max e Annie scendono dal treno si perde tutta la poetica violenta del film per un finale sdolcinato da quotidiana normalità.

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6- Grindhouse – A prova di morte: Tarantiniano allo stato puro, “Grindhouse – a prove di morte” è uno degli episodi di “Grindhouse” diretti assieme all’amico Robert Rodriguez. Sinceramente violento che te la fa godere fino in fondo con scene automobilistiche e d’interni degne di un grande regista come lui. Non uno dei suoi migliori e sicuramente la causa risiede in un finale terrificante. A molti piacerà, proprio perché Tarantino fa quello che vuole nei suoi film, eppure io, come altri, non ne vediamo ancora una soluzione convincente -se non quella di eccitare lo spettatore anche con del cinema semi-spazzatura. La scena dell’inseguimento di Stuntman Mike (Kurt Russell) da parte delle tre eroine che lo speronano con la macchina fino a farlo sbandare. Scese dal veicolo iniziano a pestarlo a sangue e successivamente verrà ucciso da una tacchettata di Abernathy in pieno volto. Le tre amiche saltano di gioia e finisce il film. Scusate, forse sono solo io, ma non ce la faccio proprio a considerarlo un finale riuscito.

Grindhouse

5- Intervista col vampiro: Molti di voi già lo conosceranno. Un cult movie appassionante. È la storia di  Louis de Pointe du Lac (Brad Pitt) al quale viene offerta una vita eterna sotto le sembianze di un vampiro da Lestat de Lioncourt (Tom Cruise) che diventerà poi suo maestro, amico e infine anche nemico. Dopo essere stato ucciso dalla piccola Claudia, anch’essa un vampiro, Lestat scompare dalla scena e la storia si fa avanti solo attraverso Louis de Pointe e la ragazzina. Vagando per secoli in Europa, dopo la morte di Claudia, Louise torna negli Stati Uniti sul finire dell’ottocento ormai stanco della sua vita immortale. Addentratosi in una casa abbandonata, ritrova l’amico Lestat senza più forze, sfigurato e costretto in una sedia. Cerca di convincere Louise a restare ma lui non ne vuole sapere e lo lascia. Tutta la storia è una sorta di intervista a Louise da parte del giornalista Daniel Molloy (Christian Slater) il quale vuole essere vampirizzato. Louise non vuole e lo aggredisce facendolo scappare in macchina. Proprio in quel momento, quando il pericolo sembra lontano, Lestat, rinsavito, salta nella macchina del giornalista e gli succhia il sangue. La macchina si allontana con la canzone alla radio “Simpathy for the Devil” dei Rolling Stones. Un finale che ci si aspetta ma non si vorrebbe vedere, almeno per quanto mi riguarda. È scontato che lui ritorni e più feroce di prima, allora perché non cambiare?

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4- Lady Killers: Rifacimento della pellicola del 1955 con Alec Guinness e Peter Sellers. Forse uno dei film meno riusciti dei fratelli Coen. Sicuramente quello meno studiato e più leggero. Le avventure del professor G. H. Door e della sua banda di ingenui e stupidi furfanti li porta a nascondersi nella cantina della vecchia signora Munson per scavare un tunnel che sbuca all’interno del cavò del casinò poco lontano. I soldi sono loro e la fortuna è vicina se non fosse per la vecchia, che riesce a scoprire il segreto di quegli individui ed è intenta a chiamare la polizia. Risparmiando un po’ di tempo giurano alla vecchia di riportare immediatamente i soldi al casinò ma intanto meditano di ucciderla. Incredibilmente la donna è quasi indistruttibile e avvolta da una specie di aura difensiva. Uno ad uno gli uomini della banda muoiono a causa di imprevisti. L’ultimo a restare è il professor Door che, guardando la chiatta dell’immondizia allontanarsi, è sicuro di essere fuori pericolo e con una montagna di soldi tutti per se. Un corvo, appollaiatosi su di una statua, ne fa cadere un pezzo sulla testa del professore che precipita già dal ponte. Tom Hanks e gli altri interpreti di contorno come J. K. Simmons, Marlon Wayans, riescono nel tentativo di far ridere in piccoli sketch di tanto in tanto. Nel momento in cui muoiono uno dopo l’altro diventa tutto molto ripetitivo e stancante, come se volessero finire il prima possibile il film. La scena di chiusura, quando la signora Munson dona i soldi della rapina ad un orfanotrofio, è di sicuro la meno interessante e per certi versi priva di un vero significato concreto. Persino lo stesso Hanks è fiacco fino alla fine.

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3- Il Testimone: Jean Pierre Mocky gira un film drammatico misto a thriller poliziesco con Philippe Noiret e Alberto Sordi come protagonisti. Il pittore italiano Antonio Berti è invitato dal suo amico Robert Mourisson a restaurare i dipinti della chiesa di Reims, in Francia. Accade che Mourisson, il quale ha fatto carriera sposando una donna molto ricca, uccide una delle giovani ragazze che fanno da modelle a Berti per dipingere gli angeli. Berti è testimone dell’accaduto e ne diventa subito complice quando non ha coraggio di denunciare l’amico alla polizia. I due decidono di scappare. Berti, sotto le istruzioni dell’amico, prende il treno verso l’Italia. Mourisson, che doveva seguirlo con la macchina, viene ucciso dal padre della bambina morta, convinto che alla guida ci fosse il pittore italiano. La polizia, sempre più convinta che l’assassino sia Berti, riescono a fermarlo alla stazione e processarlo. Se si vuole vedere un’ennesima interpretazione straziante di pianto isterico e da italianotto ingenuo e mammone di Sordi bisogna aspettare la fine del film. L’italiano all’estero ha infine sempre torto difronte a tutta Europa, specie in Francia dove non siamo ai stati visti come veri santi. Un finale rivisto già in precedenza senza elementi più sofisticati o nuovi.

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2- Silence: Difficile dire se non sia veramente un film scorsesiano al cento per cento. Di sicuro uno dei più personali, con una storia molto differente dal solito. È la storia di due frati portoghesi che vanno in Giappone per ritrovare Padre Ferreira (Liam Neeson) che, nel tentativo di cristianizzare il popolo asiatico, sia stato arrestato e torturato. Eppure Padre Rodrigues (Andrew Garfield) non si aspetta certo di vedere l’uomo tanto cercato in abiti giapponesi dopo aver rinnegato la sua fede ed aver accettato di vivere sotto quelle credenze. Il pubblico si aspetta che almeno lui non si converta e invece è proprio quello che succede. Rimane a vivere come un giapponese senza più rintracciare il suo credo originale. Solo quando muore la moglie mette all’interno di quella cesta funebre un piccolo crocifisso di legno; ciò fa pensare che la sua fede cristiana non lo abbia mai abbandonato del tutto. Per la storia in se s’invita naturalmente a leggere il romanzo di  Shūsaku Endō, tuttavia è Scorsese a mettere le parole sotto forma di immagini, e devo dire che se la prima metà del film possa scorrere abbastanza decentemente, nei minuti successivi è difficile seguire il filo e la scena finale non soddisfa, anzi, infastidisce e ridicolizza un po’ tutta la trama.

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1- La tigre e la neve: L’ultimo film di Roberto Benigni voleva ripercorrere il successo de “La Vita è Bella”, senza riuscirci. È un’altra opera sulle brutalità della guerra, spostandosi questa volta in Iraq, a Baghdad. Attilio de Giovanni è un professore di poesia costretto a raggiungere la zona di guerra per correre in aiuto dell’ex moglie Vittoria, ancora una volta interpretata dalla stucchevole Nicoletta Braschi. Per quasi tutta la pellicola la storia si svolge in un sottoscala di un ospedale semidistrutto. Vittoria, che dopo un attacco è rimasta ferita e in coma, è sorvegliata da Attilio che non la lascia mai sola. Quando lei si risveglia lui è in un campo di prigionia americano, dopo aver ritrovato l’amico Fuad (Jean Reno) appeso ad una corda. Ritorna in Italia e va a trovare Vittoria che si è ripresa anche se lei non sa che Attilio le era stato vicino durante il coma. Si accorge però che Attilio ha al collo la sua collana, che lui le aveva sfilato per paura che gliela rubassero, e capisce che quell’uomo misterioso che l’aveva aiutata altri non era che il suo ex marito. Il film si chiude con il sorriso a trentamila denti della Braschi e Benigni che fa un po’ lo stupido davanti alla telecamera. Se non fosse per l’attrice femminile il film poteva ancora salvarsi; ma solo di poco anche perché lo stesso Benigni non lascia di certo un interpretazione originale, ma una delle sue solite. Cercando, come al solito suo, di prendere alla leggera una questione drammatica come la guerra cade nel banale rifacimento del suo tanto celebre film del 1997, che gli valse un oscar. Con questo invece, e con quel finale troppo addolcito da buoni propositi raggiunge solamente una visione da fiaba in cui tutti devono per forza vivere felici e contenti. Già sappiamo come si evolverà la loro vita.

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