Toni Iwobi è l’eletto al Senato più chiacchierato di questo inizio di legislatura per due motivi: è il primo senatore nero della storia d’Italia; è stato eletto con la Lega.
Per alcuni è impensabile che qualcuno di origine africana possa schierarsi con un partito che fa della retorica dell’invasione il suo punto di forza. Certo è che Toni Iwobi è arrivato in Italia, e precisamente a Perugia, nel 1976. Laureatosi in informatica negli Stati Uniti oggi è un imprenditore e, ovviamente, senatore della Repubblica.
Qualcuno l’ha presa male. Mario Balotelli, altro primo nero, della Nazionale Italiana di calcio, ha infatti postato su Instagram una storia molto critica verso il senatur bergamasco.

Resta il fatto che la Lega, il partito anti-immigrazione e anti-invasione, ha portato in Parlamento un senatore di origine nigeriana. Se mi ha fatto strano, non è per l’ideologia del partito -Toni Iwobi, arrivato in Italia regolarmente più di trent’anni fa, ha tutto il diritto di pensare che una stretta sull’immigrazione sia la ricetta per il paese- ma per alcuni suoi compagni di partito. E ho pensato a quel Roberto Calderoli che di Cécile Kyenge, deputata nera tra le schiere del Partito Democratico e primo ministro nero della storia italiana, disse: “Quando vedo le immagini della Kyenge non posso non pensare, anche se non dico che lo sia, alle sembianze di orango.”
Da lì ho iniziato a ragionare, e a pormi un quesito: ci sono stati altri neri in posti di rilievo nella storia italiana pre e post-unitaria? A quanto pare sì. Ma la presenza nera alla fine dei conti c’è sempre stata, ad ogni livello.
C’è infatti un argomento di cui si parla poco nelle scuole e nella nostra società in generale: è la schiavitù. Non quella dei sudisti americani però, ma quella europea. Quella che riempiva le case di signori e nobili europei di mori. Ci sono tracce ovunque di questo passaggio: nella letteratura, nell’arte e nell’architettura. Ne Lo cunto de li cunti di Gianbattista Basile una schiava mora riesce, con l’inganno, a sposarsi un principe. Nel dipinto di Lorenzo Lotto, Santa Lucia davanti al giudice, una nera vestita d’arancione che cerca d’impedire ad un bimbo di andare in mezzo ai grandi fa capolino da un angolo. A Livorno, il Monumento dei Quattro Mori, magnifica il potere di Ferdinando I de’ Medici la cui statua si erge su un piedistallo a cui sono incatenati quattro prigionieri, tra cui due di origine turca e uno di origine subsahariana.
L’Italia, penisola votata al commercio, non poteva esimersi dall’essere un grande hub per il mercato della schiavitù. Ma qua bisogna fare un appunto. Non erano gli italiani ad essere abomini, ma l’intero mondo attuale girava in quella maniera. La schiavitù era infatti una realtà in ogni angolo del globo: africani ed arabi erano schiavi in Europa mentre gli europei venivano schiavizzati dall’altra parte del Mediterraneo. Questo giusto per sottolineare che non è il colore della pelle il problema, ma il nostro stesso essere umani.
È a causa di questo via vai di uomini-merce che in Italia ci sono stati nei secoli personalità importanti e di pelle nera.
Iniziamo questo nostro viaggio dal XVI secolo. Una coppia di schiavi africani, probabilmente etiopi, dà alla luce nel 1524 un bambino a San Fratello, ora un comune in provincia di Messina. Questo bimbo nasce libero per concessione del padrone. A ventuno anni entra in un convento, che dovrà lasciare per l’incredibile numero di persone che lì si recavano per chiedergli un miracolo. Infatti già da vivo ha fama di santo, titolo che però gli verrà concesso solo nel 1807 dal papa Pio VII.


Un altro religioso italo-africano è Antonio da Noto, nato mussulmano in Libia, nonostante sembra fosse di origine etiope -è infatti conosciuto anche con il nome di Antonio Etiope, viene comprato da un massaro di Avola che lo affida al pastore della comunità. Quando poi viene ceduto ad una famiglia di Noto, questa lo libera perché stupiti dai miracoli che compie. Nella diocesi di Noto il suo culto è ancora vivo.
Nella mia ricerca mi sono poi imbattuto in qualcosa di molto interessante: c’è stato un duca di Firenze nero. Alessandro di Lorenzo de’ Medici, detto il Moro, è stato Signore e poi Duca di Firenze tra il 1523 e il 1537. Figlio illegittimo di Lorenzo II de’ Medici e di una serva mulatta nata in Sabina ma probabilmente di origine africana, ci dimostra che anche in una delle famiglie più conosciute e potenti della storia italiana un nero poteva aspirare al potere politico.

Nell’Italia post-unitaria troviamo due neri nell’esercito. Ma questi non sono semplici soldati da mandare al macello bensì uomini con responsabilità di comando.

Michele Amatore nasce in Sudan, intorno al 1826, con il nome di Sulayman al-Nubi. Rapito da mercanti di schiavi egiziani all’età di sei anni viene acquistato poi da Luigi Castagnone, che dopo averlo introdotto al cattolicesimo e al costume italiano lo porta in Piemonte. Nel 1838 viene battezzato e diventa cittadino piemontese. Nel 1848 si arruola volontario nell’esercito piemontese. Inizia così la sua carriere militare, conclusasi come capitano del 3° reggimento bersaglieri dell’esercito italiano. Sono ben nove le onorificenze conferitegli durante la sua carriere, tra cui una per aver aiutato la popolazione siciliana durante l’epidemia di colera degli anni sessanta.

Facendo un piccolo salto in avanti l’Italia non solo è unita ma ha anche un piccolo impero coloniale, di cui ne fa parte l’Eritrea. Nel 1891 il colonnello Attilio Mondelli adotta un giovane ragazzo di etnia tigrina nato ad Asmara nel 1886. Domenico Mondelli, nato Wolde Selassie, viene così portato in Italia e nel 1900 inizia a frequentare il Collegio Militare di Roma. Combatte come capitano d’aviazione nella Prima Guerra Mondiale, mentre aveva iniziato il suo percorso nella massoneria palermitana. Nonostante le numerose onorificenze ottenute, con l’avvento del fascismo viene bloccata la sua promozione a colonnello. Nel dopoguerra la sua carriera riprende regolarmente, seppure senza le possibilità a cui poteva aspirare prima del fascismo. Nel 1970 il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat decide di assegnargli il titolo di Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana.
(qui si raccontava la storia di una combattente per i diritti delle donne, ma la famiglia ne ha chiesto la rimozione)
Arriviamo quindi ai giorni nostri, dove l’immigrazione sta cambiando la fisionomia della nostra società. Se per qualcuno questo significa la fine dei tempi e della civiltà come la conosciamo gli esempi qui presentati dimostrano il contrario. Toni Iwobi è sì, il primo senatore nero, ma non è il primo italo-africano a ricoprire un ruolo di così grande importanza: Jean-Léonard Touadi, di origine congolese, e Cécile Kyenge si sono già seduti sugli scranni della Camera dei Deputati, con la seconda che è entrata anche nell’esecutivo del Governo Letta; Dacia Valent, di origine somala, ha invece rappresentato l’Italia nel Parlamento Europeo.
Ci sono comunque tante altre storie che meriterebbero di essere raccontate. Io ho selezionato solo quelle più istituzionali per dimostrare come l’integrazione o la disintegrazione dipendano solo dalle persone che compongono la società.
Se oggi qualcuno scende in strada e spara a tutti i neri che passano qualcosa deve essere andato storto da quando il Moro governava su Firenze.
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