“Non c’è storia”, direte voi, comparare due film tanto lontani nel tempo e con attori tanto diversificati, con una regia diversa, e tempi comici che insieme non hanno nulla a che vedere. Il primo, Il Vedovo, è la consacrazione di Dino Risi come regista non solo di commediole, ma di una Black Comedy stravagante e divertente. Il secondo, Aspirante vedovo, è un banale remake del precedente ma che ha tanto da nascondere. Naturalmente se siete fan di Albertone, il remake non passerà positivamente il vostro giudizio. Eppure, sono sicuro di poterci ricavare qualcosa di buono e originale.
“Il Vedovo”, scritto e diretto nel 1959 dal grandissimo Dino Risi; padre della commedia all’italiana assieme a Monicelli e altri. Interpretato da un luciferino Alberto Sordi, narra le vicende travagliate del povero imprenditore Alberto Nardi sempre in contrasto con la moglie, Elvira Almiraghi (Franca Valeri). Lui, un poveraccio romano trapiantato a Milano, che tenta sempre la fortuna vendendo ascensori scadenti e poco sicuri. Lei, un’imprenditrice tenace, potente, forte quanto perfida e intollerante nei confronti del marito, al quale non presta più una lira e lo lascia in pasto ai suoi creditori. Il povero Nardi, giunto agli estremi di quella vita, sia coniugale che lavorativa, spera solo che la moglie muoia e gli lasci l’eredità. Un tragico incidente ferroviario gli farà credere che Elvira sia finalmente deceduta e lui erede di una fortuna. Ma la donna non è mai salita su quel treno e torna da Alberto più spietata che mai. Dopo alcune settimane lontano dalla città per riprendersi da quella terribile sorpresa, tornando a Milano, Alberto escogita un piano per uccidere definitivamente la consorte. Nella realizzazione dell’assassinio, tira in ballo il fidato socio in affari Marchese Stucchi (Livio Lorenzon), lo zio tassista (Nando Bruno) e il tecnico tedesco Fritzmayer (Enzo Petito). Inutile a dirsi, il piano non va come il previsto, e Nardi, oltre alla perdita dell’eredità, ci rimette anche la vita. Un finale, che è una lunga risata ironica e cinica.
Un capolavoro e un film di culto ancora oggi apprezzatissimo. Curato in ogni minimo dettaglio. La scelta dei caratteristi è una delle chicche dell’opera di Risi, assieme all’accoppiata Sordi/Valeri, che risulterà essere un incredibile successo. Una storia che fonda le sue radici dell’astro nascente commedia nostrana. Una commedia nera che ha come tema centrale il boom economico e il miracolo industriale. Ma bisogna saperci fare. Grande satira a volte spinta, a volte più celata, nei confronti di un’economia spietata che non lascia scampo; chi non sa stare a galla affonda da solo. Un disegno satirico anche per quanto riguarda la politica di quel periodo che non guarda in faccia nessuno e tira in ballo pregiudizi e luoghi comuni anche di cattivo gusto, ma sempre risibili e spassosi.
Nel 2013, Massimo Venier, già regista fortunato di commedie assieme al trio comico di Aldo, Giovanni e Giacomo, si addentra in un progetto che vuole essere un tributo alla commedia passata, ai maestri del passato, ma di non facile promozione. Chi accetta volentieri il remake di un cult? Venier non si spaventa e gira “Aspirante Vedovo”. Non ci sono più i grandi caratteristi e attori di contorno come nel precedente, bensì solo bravi attori. Non c’è più Sordi e Valeri, ma il comunque sempre mitico Fabio De Luigi e Luciana Littizzetto. La storia non è tanto distante da quello di Risi. Nardi, Almiraghi, finta morte, piano d’eliminazione e poi l’irrimediabile finale; eppure alcuni elementi fondamentali hanno attirato la mia attenzione. In primis, non c’è più il problema del boom economico creatore di affaristi e mostri di mercato, bensì la crisi di questo tempo, che crea schizofrenici e paranoici, uomini disposti a tutto pur di racimolare un po’ di grana, e quelli che finiscono i loro giorni ripensando ai momenti gloriosi e glorificanti del bel lavoro. De Luigi e Littizzetto danno questa nuova impronta descrivendo i problemi del 2000. Assieme alla crisi, la comica trovata dei romeni e di altre boutade come simboli pregnanti per redigere un’esatta cronaca e una caricatura scherzosa del nostro presente.
C’è poi il ricorso ad una nuova comicità, per quanto riguarda i due attori protagonisti, che non vogliono ricalcare pienamente le movenze e le battute di Sordi e della Valeri. A De Luigi, sebbene ricordato di più per un Ingegner Cane, un Mediomen o un Lucarelli, gli si addice anche un ruolo più drammatico; meno naturale del grande Albertone ma comunque sempre sul pezzo. Riesce a dare un carattere diverso e originale al personaggio di Nardi, mentre la Littizzetto incarna il ruolo della signora Almiraghi aiutata dal modello di Franca Valeri, aggiungendo caratteristiche proprie della sua comicità spinta, infantile ma sempre divertente. Il finale, poi, è un altro elemento che può, in qualche modo, contraddistinguere le due pellicole. Se nel primo anche nel finale si trasformi tutto in una goliardata della quale si possa ridere senza freni, nel remake Venier lascia uno spazio, oltre al grottesco, al drammatico, facendo di Alberto Nardi, un personaggio ancora più sfortunato, tetro, scuro e, scusatemi se mi permetto, che rasenta un personaggio quasi pirandelliano. Nel film di Venier compaiono altri attori degni di nota, come Ninni Bruschetta, Alessandro Besentini, Roberto Citran e Bebo Storti.
Due film che possono essere descritti come simili, per certi versi, ma anche come l’uno l’antitesi dell’altro; per la differenza di temi e di spunti comico-drammatici. La differenza di epoche ha poi la sua importanza. Sebbene molti non la pensano così, “Aspirante Vedovo” non è l’esatta copia de “Il Vedovo” e non è nemmeno una prova fallimentare; non sarà un successo ma è sempre una commedia che non infanga la prima. Semmai la fortifica con una nuova matrice.
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