Anni 90. Si vota in un non meglio specificato piccolo centro del Mezzogiorno italiano. Al seggio, allestito come di consueto nella scuola del paese, l’elezione procede nonostante l’assenza di una scheda elettorale. Nel frattempo, un gruppo di quattro uomini disoccupati, tre italiani e un eritreo, entrano armati nel seggio e lo occupano. Vogliono lavoro e dignità. È questo lo spunto sul quale si basa Sud, film di Gabriele Salvatores del 1993.
Ciro (Silvio Orlando), Michele (Marco Manchisi), Elia (Antonio Catania) e Munir (Mussié Ighezu) sono quattro disperati. Il sisma che pochi anni prima si è abbattuto sulla regione ha fatto chiudere le fabbriche. Il lavoro non c’è più. Le case nemmeno. I quattro sperano che questo atto estremo possa smuovere finalmente la politica, assente tranne quando su tratta di riempirsi le tasche.
È un ritratto azzeccato quello di Salvatores. Il regista premio Oscar ambienta la sua storia in una minuscola e sonnolenta cittadina di un Sud altamente stereotipato. Stereotipato in quanto riprende tutti gli stilemi tipici del Meridione, rendendone impossibile una localizzazione precisa. Il paesaggio rimanda all’arida Sicilia, che non per niente è il set del film. Il sisma che ha da poco messo in ginocchio la comunità ricorda purtroppo una tragica costante non solo del sud, ma dell’Italia tutta: dopo la fine dell’emergenza, la ricostruzione parte, a volte si inceppa, a volte ingrassa i corrotti e lascia senza casa e futuro i diseredati dal potere. Ultimo tassello di questo mesto mosaico è la presenza di una forte collusione della politica con la criminalità organizzata: legame garantito in questo caso dall’Onorevole Cannavacciuolo, fedele rappresentante in Parlamento degli interessi della Camorra.
I quattro sperano che occupando il seggio possano venire ascoltati. E magari che, ispirando gesti similari, la situazione possa migliorare in tutto il Paese. La realtà però è ben diversa. Gli apparati dello Stato sono da subito preparati a sedare quest’atto di protesta al limite dell’eversione. I media, inizialmente tenuti all’oscuro, quando vengono a conoscenza della vicenda, piuttosto che raccontare le reali motivazioni dietro questo gesto disperato cercano solamente di intrattenere il pubblico con un sensazionalismo spicciolo. Le speranze della mattina si spengono progressivamente. Sembra impossibile ribellarsi con successo al Sistema. Quando tutto sembra perduto però il sostegno della piazza e le notizie che altri seggi iniziano ad essere occupati riaccendono la fiammella della speranza. Il tutto si concluderà probabilmente con un nulla di fatto, e con un processo, ma il segnale politico di tale mobilitazione non potrà essere ignorato.
Oggi, la situazione è similmente tragica: la disoccupazione ancora enormemente diffusa, la recessione nuovamente alle porte e la rabbia contro la politica sono ancora parte del panorama sociale italiano. Ma in più c’è una totale mancanza di speranza. Il futuro è nero, e niente sembra illuminarlo.
Ciro Ascarone e i suoi non combatterebbero più.
La speranza in un futuro migliore è morta.
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