Derry è quel luogo in cui inizi a capire ciò che ci circonda e tutti i suoi perché, tutte le sue leggi. Derry è il primo angolo di mondo che impari a conoscere. È il primo step di una vita comune in cui fai le prime esperienze, conosci i primi amici, quelli che magari ti seguiranno per tutta la vita, e in cui fai la conoscenza dei primi amori e della propria sessualità. Fuori da Derry, c’è però tutto il mondo che ti aspetta e che ti fa piano piano perdere i contatti e i ricordi con quel primo momento di esistenza che è quello più spensierato e libero.
O forse è completamente l’opposto. È vero il contrario. Fuori da Derry non si diventa uomini ma solo codardi che non affrontano il passato: quello più scottante e drammatico. Stephen King fa dell’adolescenza il filo conduttore di un’intera esistenza. Dimenticare ciò che è avvenuto in quel dato momento sarebbe come non vivere. E tutti quei fantasmi del passato che fanno diventare uomini non possono restare nel dimenticatoio troppo a lungo.
I ragazzi della Derry del 1988 sono ormai grandi ma mai maturi abbastanza. King lo sa, lo scrive e Andy Muschietti, già regista della prima parte di It, lo riporta in questo secondo e conclusivo atto prendendo molto dal romanzo dello scrittore americano. La fase adulta altro non è che un passo in più eppure non è la vera saggezza e la sicura stabilità: specialmente quella psicologica. “L’età non fa dei saggi fa solo dei vecchi” citando il Jack Beauregard de Il mio nome è nessuno, e in It: Chapter Two accade lo stesso.
It, il clown assassino, l’insieme di tutte le ansie e paure di un giovane, sfoga la sua malvagità a Derry dopo un periodo di sonno di ventisette anni: da quando era stato sconfitto una prima volta dai sette giovani amici che avevano poi giurato di tornare ad ucciderlo se mai si fosse ripresentato. Ma dopo tutto questo tempo, l’unico che ricorda quel giuramento è Mike (Isaiah Mustafa): il solo a non aver lasciato la città. Gli altri, ormai con le proprie famiglie e i propri lavori, non immaginano minimamente di dover tornare a Derry per rievocare il passato: passato che avevano accuratamente cercato di dimenticare.
Mike li richiama dopo i primi omicidi avvenuti in città eppure far riaffiorare i ricordi non è un’impresa facile. Beverly (Jessica Chastain), ha ritrovato nel marito il carattere violento del padre, e in una sorta di sadismo involontario, vive in maniera al quanto insoddisfatta. Lo stesso si può dire di Bill (James McAvoy), scrittore in crisi così come il suo rapporto con la moglie, e degli altri. Eddie (James Ransone), sposato con una donna opprimente come la madre, viene presentato da adulto a bordo di una bella macchina e con tutta l’aria di un uomo d’affari. E così Richie (Bill Hader), comico sull’onda del successo ma dedito alla bottiglia e a psicofarmaci. È questa la vera felicità?
Forse gli unici all’apparenza felici sono Ben (Jay Ryan), ora magro e uomo di successo, e Stan (Andy Bean), il quale però, non appena ricevuto la chiamata di Mike, comincia a rivalutare la sua situazione e stabilità.
Insomma i fantasmi di quel passato riemergono in persone totalmente insoddisfatte, e forse è un bene che It, o Pennywise, sia tornato e più famelico che mai. Abbondano scene macabre, o intere sequenze dove il sangue scorre a fiumi come se non ci fosse un domani, ma il fulcro di tutto è, nel continuo parallelismo tra romanzo e film, il ritrovare se stessi per poi tirare le somme di una vita non proprio vissuta. Sono io? Sono felice? Sono sicuro di essere a posto con la coscienza? Cos’è che mi manca?
Domande alle quali i protagonisti cercano risposte e che il regista Muschietti sparge in qua e in là sin dai primi minuti dell’opera. Tre ore sono sufficienti per lo più per soffermarsi su temi completamente tralasciati nella serie televisiva del 1990 e solo accennati nel primo capitolo del 2017.Horror spinto ma non troppo che sembra invece assumere i toni di un più un avvincente trattato di psicologia e psicanalisi. Il personaggio di Bill, che nel primo aveva un eco molto più grande degli altri, viene accantonato assieme al suo dolore/rimorso per la morte del fratellino Georgie per dare spazio agli altri compagni. Come per esempio il rapporto di Beverly con il violento genitore, l’amore mai confessato di Ben per Beverly o la celata omosessualità di Richie.
Quest’ultima tematica, soprattutto, impregna, in maniera in alcuni casi pesante, tutta la storia, ma ciò non toglie che il personaggio interpretato da Bill Hader è quello meglio riuscito di questa seconda edizione. Nascondendo la sua natura dietro continue battute e risate, la personalità di Richie viene fuori come un fiume in piena e non può non essere uno dei fili conduttori di tutto il film. Un film che, stando al passo con i tempi, è legato ai recenti sviluppi e non sviluppi di questa società. Alle certezze che ancora non sono del tutto accettate.
Sebbene trasportata ai giorni nostri, il film integrale di Muschietti è quello più fedele al romanzo di King che, cosa alquanto rara, si esibisce in un divertente cameo nei panni di un antiquario di Derry. Così come i registi Xavier Dolan e Peter Bogdanovich.
E il personaggio di Bill Skarsgård? Vi chiederete. Sempre sul pezzo ma anche lui viene leggermente tralasciato sebbene sia l’antagonista. Tuttavia, anche in questo caso è vero il contrario. Se nel primo It la faceva da padrone, in It: Chapter Two sono tanti gli antagonisti e il male arriva sotto svariate forme, accrescendo l’etichetta di It come romanzo e ora come film di formazione. Una crescita continua che è un piacevole trip di tensione allo stato puro fino ad arrivare al tanto atteso finale.
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