Hulk verde, Trump no

Correva l’anno 2015. A Parigi, alla COP21, erano presenti quasi tutti gli stati del mondo, decisi a prendere per le corna (anche se con un colpevolissimo ritardo) il riscaldamento climatico.

CO2_Emissions_in_1990_and_2012-IT.svg.pngTra gli obbiettivi quelli di limitare le emissioni carboniche e contenere così il riscaldamento globale entro i +2° dai livelli pre-industriali e arrivare nella secondo metà di questo nostro secolo ad un livello di emissioni zero.

L’importanza rispetto al Protocollo di Kyoto è la presenza convinta degli Stati Uniti di Barack Obama nell’accordo. Gli Stati Uniti sono infatti, insieme all’Europa, alla Cina, all’India e alla Russia, i più grandi inquinatori del pianeta. Senza di loro tutto sarebbe vano. L’accordo prevedeva che gli stati più industrializzati avessero limiti più stringenti dei paesi in via di sviluppo, proprio per il loro essere più letteralmente economicamente ed industrialmente più avanzati.

E proprio questa parte non è andata giù ad una fetta del popolo americano: dai minatori della Rust Belt ai grandi del settore fossile. Queste persone hanno trovato la loro rappresentanza nel presidente Donald J. Trump che prontamente dopo aver abrogato ogni legge a tutela dell’ambiente decide di portare fuori gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi.

Siamo ad oggi. Nel 2017.

Mentre tutto il mondo unanime s’incammina verso un futuro più responsabile da oltreoceano arriva un segnale di tragico menefreghismo.

La defezione degli Stati Uniti non ha però portato al fuggi fuggi generale che si temeva. Infatti Cina e Unione Europea, per bocca di Francia, Germania e Italia, hanno confermato il loro impegno nel portare avanti l’accordo e invitando il presidente Trump a ritornare sui suoi passi. Persino dalla Russia arriva la conferma dell’importanza degli accordi di Parigi, seppur sminuiti senza la presenza degli Stati Uniti.

L’occasione di fare qualcosa per il futuro dell’umanità (non del pianeta che continuerà ad esistere anche con 10 gradi in più) rischia di venire sciupata un’altra volta.

È sempre così. Ma ci faremo l’abitudine. In fondo per che sarà mai la desertificazione dei paesi mediterranei e dell’Africa (che spinge milioni di persone verso nord), l’aumento dell’instabilità meteorologica e la scomparsa di milioni di kilometri quadrati di terra emersa dovuta all’innalzamento del livello del mare? È una sicura invenzione delle lobby delle energie rinnovabili…

Parlando di rinnovabili la Germania da questo punta di vista migliora esponenzialmente la sua capacità di produrre energia pulita come la maggior parte degli stati dell’Unione Europea (1).

Non siamo però solo noi europei a porci dei traguardi verdi.  Persino in India si è deciso di guardare al futuro: le industrie automobilistiche sono state avvisate che dal 2030 nel paese sarà vietato vendere e produrre auto che non siano elettriche (2). È una misura che ridurrà l’inquinamento nelle città, ma che accompagnata da investimenti nelle rinnovabili porterà sicuri risultati anche dal punto di vista economico e dell’innovazione. Per questo anche la Cina vuole proseguire lungo la via della de carbonizzazione. È una via vincente, che tutto il mondo ha deciso di seguire tranne gli Stati Uniti.

Ma li capisco. New York d’inverno è troppo fredda.


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Una risposta a “Hulk verde, Trump no”

  1. […] protestargli contro (2,3). Il suo mandato è iniziato col botto: Muslim Ban, fuori dall’Accordo di Parigi per la salvaguardia del clima e soprattutto gara di insulti via tweet con Kim Jong-Un. Uno […]

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