Los dos amigos y un perro andaluz

La fraterna amicizia fra l’Andaluso Garcia Lorca, l’Aragonese Bunuel e il Catalano Dalì, così come è scritta e datata in testi letterari e lezioni, universitarie e non, storico letterarie, ha una prima frattura durante il periodo universitario di questi tre. Periodo compreso negli anni venti. Possiamo dire che la prima causa di questa infausta rottura avviene nel 1928, anno in cui Lorca, integratosi nella realtà del tutto nuova della “Residencia de los Estudiantes, ma non lontana da quella agreste dell’Andalusia che lo accompagnerà nel corso della sua vita, scrive “Romancer Gitano”; opera di grande importanza per la sua esistenza, nella quale descrive, con un sentimento di fatalità, di mistero e di dolore il mondo dal quale egli proviene. Quello Andaluso. Ecco che la carica emotiva, intellettuale e avanguardisticamente potente si fa sentire nei suoi due amici che, letta l’opera, apprendono, invece, un forte senso di offesa, quasi un attacco in tutto ciò che c’era di più importante per loro. Salvador Dalì e Luis Bunuel erano due giovani esponenti del movimento d’avanguardia del Surrealismo. La loro giovane età, e la forza che può dare un reciproco ideale che si scatena quando tutto è ancora in tempo, è solo l’inizio, li porta a proteggere fermamente e in maniera quasi crudele il loro prezioso ideale. Per Dalì e Bunuel, l’opera dell’amico non a niente a che vedere con il movimento surrealista, secondo loro, “Romancer Gitano”, non è altro che un’opera in cui è descritta una società agreste, isolata, totalmente fuori dalla realtà surrealista. Dopo questo attacco, Garcia Lorca, già abbattuto, in parte, da una forte crisi interiore, dovuta anche alla sua omosessualità, fino ad allora celata, non si sente più in linea con suoi due compagni con i quali aveva stretto un grande legame. Il suo allontanamento è progressivo e i due, Bunuel e Dalì, non credo abbiano cercato di risolvere quella spiacevole situazione più di quanto abbiano fatto per scatenarla e abbandonare, diciamo così, l’amico al proprio destino, che risulterà essere, invece, come una valida lezione di vita e forse il vero punto di partenza della sua carriera.

Da questo momento, come già detto, Lorca si troverà a vivere in uno stato di completo isolamento e disperazione alleggerito solo da uno scambio di pensieri in lettere a suoi amici, rimastigli ancora vicini, e dal suo successivo ritrovamento consolidamento di idee.

Ma Dalì e Bunuel non demordono; non sembrano affatto decisi ad accantonare questo increspamento di ideali. Nel 1929 iniziano a lavorare ad un loro primo progetto che in poco tempo li consacrerà, Bunuel nel campo cinematografico e Dalì in quello artistico, come esponenti fermamente convinti della corrente del “Surrealismo”.  In pochi giorni scrivono e trovano i mezzi necessari per lasciare la Spagna e recarsi in Francia ad imbastire il progetto; un film surrealista. Detta così potrebbe sembrare un’azzardata etichetta, messa li solo per riprendere, in parte, il fulcro centrale del loro pensiero ed evolverlo a qualcosa di più concreto. “Come si potrebbe mai scrivere un soggetto talmente visionario e così fuori dagli schemi e trasportarlo su pellicola?”. Ma è proprio da questo esempio d’arte che Bunuel e Dalì fanno del surrealismo un vera e propria concretezza che va oltre la parola scritta, il nero su bianco. “Un chien andalou” è un viaggio terrificante e magnifico al tempo stesso; una fitta sequenza di scene che, in poco più di quindici minuti, portano i loro sogni e i loro pensieri alla luce del sole e, nel frattempo, conducono lo spettatore in un completo marasma mentale, lo sforzo di vedere oltre e che non fa altro che riportarlo ad essere più sconcertato e confuso di prima; proprio come il sogno, effettivamente, è e che sarà una tematica sempre duratura nello stile di Dalì per quanto riguarda i suoi quadri e di Bunuel che, più tardi, ritrasmetterà nuovamente su pellicola questa irreale realtà del sogno con “Il fascino indiscreto della Borghesia”.  Insomma un primo successo e la continua fermezza e presa di posizione. Ma questo cortometraggio non tratta solo di una serie di sogni che i due hanno avuto, o meglio, non intendono, con il tema del sogno, raccontare ciò che hanno visto nel preciso momento in cui è nato nella mente addormentata. Sotto lo strato di pellicola si nasconde un messaggio più concreto che si può ricercare studiando bene il film e non tralasciando il più piccolo particolare. Questa supposizione, di un qualcosa di più forte all’interno dell’opera cinematografica, è sorta, nella mente di coloro che in parte sapevano, quasi con immediatezza e che nel corso degli anni ha portato studiosi, critici e letterati a formularne una propria visione a tal proposito.

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Naturalmente la prima domanda che ci si pone guardando l’opera è senza dubbio il titolo. “Un chien andalou”, che tradotto sarebbe “Un cane andaluso” o in spagnolo “Un perro andaluz” porta ad una serie di riflessioni. Qualcuno totalmente impreparato può subito pensare ad un proverbio, oppure una favola spagnola dato che nel titolo compare la parola “Andaluso”. Magari una vecchia storiella di un cane che si aggirava per la campagna dell’Andalusia. Oppure qualcun altro, a conoscenza dell’indole surrealista dei due creatori, direbbe senz’altro che il titolo è la sintesi di tutta quella confusione visiva che, gira che ti rigira, non dice proprio nulla e non porta a nessun significato reale. Altri, invece, riassumono tutto questo estirpando dalla superfice dell’opera l’ingrediente surreale; per quanto riguarda il tema del movimento d’avanguardia ho la netta impressione che centinaia di fogli non basterebbero a dargli il giusto contenuto e la grande rilevanza di cui, in effetti, è portatore. Passando per l’interpretazione dei sogni di Freud o partendo dalla nascita delle avanguardie in Europa, o tornando ancora più indietro, non riusciremmo ad avere ancora le idee chiare. Perciò mi limiterò ad interpretare concretamente, come altri prima di me hanno fatto, basandomi sui loro scritti. La storia, come all’inizio ho cercato di raccontarla, è effettivamente semplice. Ritornando al discorso del titolo quell’Andalou, non è proprio una scelta casuale, o almeno sembra. Ripercorrendo a tratti tutta la situazione quell’aggettivo non rimanderebbe che a Garcia Lorca. Secondo alcune persone, sta proprio qui la vera critica di Dalì e Bunuel scatenatasi dopo la pubblicazione di “Romancer Gitano”; Lorca semplificato nel titolo del primo film di Bunuel come un perro, un chien, un cane di origine andalusa che è lontano dalla visione del mondo, distante dalle parole del padrone, un randagio capace di vivere solamente in maniera solitaria e in una terra abbandonata. Altri riferimenti, nel film visibilmente riconoscibili, ricondurrebbero al poeta. Nella scena iniziale una donna, seduta su una sedia, viene sfregiata ad un occhio da uno strano barbiere il quale, qualche secondo prima, guarda la luna e le nuvole che la tagliano orizzontalmente, così come farà lui all’occhio della donna con un affilato rasoio. Secondo un critico cinematografico “La sequenza di apertura è tra le più celebri della storia del cinema. Su quella nuvola e quell’occhio tagliato si sono gettati fiumi di inchiostro. Si può speculare a lungo sulla luna foriera di sventura, sull’atto del taglio quale simbolo di iniziazione, o di castrazione, sulla necessità di guardare oltre la superficie delle cose, per addentrarsi nei meandri dell’inconscio..”. Questo fatto viene inoltre rafforzato dalla presenza di Bunuel che interpreta egli stesso il barbiere.  Tuttavia, il rimando è ancora una volta a Garcia Lorca: la luna compare in una poesia del 25 dedicata proprio a Bunuel.  Oltre a questi due concetti, quello del titolo e quello della scena dell’occhio tagliato, si affianca un altro probabile indizio. In un’altra scena della pellicola un uomo, molto probabilmente il protagonista del film assieme alla donna dai capelli neri, sua amante, viene colto da una improvviso stato di pazzia erotica, frutto sempre di un sogno incessante. La donna tenta di scappare entrando in una stanza che è uguale, la stessa, a quella appena lasciata nella quale, sullo stesso letto, messo nella stessa posizione, c’è il suo amante che dorme e sogna. Sogna un altro tizio che non è altri che se stesso. Lo spinge contro un muro dandogli dei libri in mano i quali si trasformano in due pistole. L’uomo fa fuoco contro la sua personificazione e la uccide; ma ecco che l’uomo si ritrova in un bosco ed è ora egli stesso ad essere morto. Accorrono varie persone tra cui un prete, interpretato da Dalì.  Persino questa scena potrebbe benissimo essere interpretata come una specie di punizione inflitta da Bunuel e Dali contro il personaggio che richiamerebbe Garcia Lorca, facendolo vivere dentro sogno ininterrotto come una sorta di girone dantesco.

Tutto ciò, naturalmente, è frutto di interpretazioni giunte sino a noi durante gli anni da quel fatidico 1928, non è traducibile come sicuro o vero ma una cosa resta certa; quando il film venne presentato al pubblico persino Garcia Lorca ebbe la possibilità di vederlo ritenendolo, secondo alcune fonti, una vera e propria schifezza. In altri testi è scritto che tale rappresentazione destò scandalo agli occhi del poeta tanto da ritenersi offeso.

Queste parole non vanno certamente a cambiare il corso della storia e nemmeno la grandiosità che Lorca aveva e che ha potuto sfruttare fino alla sua prematura morte. Anche se questo può essere accaduta non svaluta il lavoro di Dalì il Bunuel del quale vorrei citare una sua frase detta poco dopo l’uscita di “Un chien Andalou”: “chi trova il film bello o poetico non può essere che un imbecille!” interpretabile come una certa modestia da parte sua anche se mi piacerebbe credere che dietro a questa frase possa esserci un altro messaggio celato. “Chi trova il film bello o poetico non può essere che un imbecille poiché non comprende la nostra malignità nei suoi confronti. Forse ci siamo andati giù un po’ pesante!”


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