Intervista a Gianni Zanasi – Un regista in cerca di autenticità

Il regista emiliano Gianni Zanasi il 30 novembre 2018 è venuto al Cinema PostModernissimo di Perugia in occasione della proiezione del suo ultimo film Troppa Grazia. Dopo la visione e il confronto col nutrito pubblico che aveva riempito la sala, si è fermato con noi per parlare più approfonditamente del suo lavoro.

Una prima domanda incentrato anche sul ritmo del film. Una commedia a tratti molto esplosiva: a tratti si ride davvero di gusto. C’è molto trasporto ma che si prende anche dei momenti per affrontare quelli che sono i drammi interiori, i problemi di Lucia e di tutto il suo nucleo familiare, poiché i problemi sono anche di sua figlia Rosa. Come è stato muoversi tra questa commedia e anche questa analisi della psicologia dei personaggi? Ok. Allora guarda, mettiamola così. Per me la commedia non è  proprio un genere e non mi obbliga a dover far ridere per forza. Invece, al contrario, è l’anti genere, perché mi permette di cominciare ridendo, e ridere per è molte cose, lasciare che s’incontrino le contraddizioni, quindi i paradossi. Appunto, questa Lucia così normale e così terrena, è di oggi, contemporanea. Il fatto che vede la Madonna che gli dice di andare dagli uomini continuerà sempre a farmi ridere. Questo modo di procedere, mi rende libero da qualsiasi dovere: non devo far ridere, pensare, non devo essere autore, non devo essere commerciale. Ho soltanto un dovere; devo essere il più possibile vero e autentico sui personaggi. Cosa vuol dire? Lasciarli andare liberamente a vivere tutte le loro contraddizioni. In questo assomigliano molto alle persone reali: tutti noi siamo pieni di contraddizioni, anche se ci presentiamo agli altri, e anche a noi stessi, come se avessimo già delle idee precise o fossimo coerenti. Tuttavia è vero fino a un certo punto. In realtà dentro siamo delle cose che si muovono tra l’altro molto contrastanti. Questo spesso lo avvertiamo come una debolezza ma invece è una ricchezza. E i personaggi sono delle persone reali che, a differenza di noi, possono vivere il lusso di un’ora e quaranta  per lasciare andare liberamente le loro contraddizioni. Quindi la commedia mi permette di affrontare tutti i generi; posso ridere, posso avere paura, posso commuovermi, posso di nuovo ridere. Questo è un bel modo di viaggiare per me. 

L’altra domanda invece, sul rapporto sentimentale che c’è tra i due, tra Arturo e Lucia. Personalmente mi è piaciuto come è stato raccontato: dopo quella grande lite dell’inizio, come avevi detto prima molto realistica, anche nell’inciampo che fa Arturo, nella rabbia e nella confusione magari si dicono cose che nemmeno si pensano. Tuttavia, dopo molto tempo, dopo quella separazione rimane ancora questo sentimento di amore tra i due. Non si sa bene cosa provano i due protagonisti. Hai raccontato una storia tra due persone molto reale, una storia non romantica ma vera, e si vede anche quando Arturo sa che Lucia ha dei problemi e la porta fuori a cena, non aspettandosi nient’altro. Guarda, penso che sia una storia molto vera e molto reale. Penso che ognuno di noi vedendola vede qualcosa di una propria storia d’amore. Allo stesso tempo, dentro è una storia molto romantica e sentimentale. Mi fa pensare al titolo di un romanzo americano degli anni quaranta, di Raymond Chandler dal titolo “Il lungo addio”. Un bellissimo titolo che potrebbe essere benissimo quello della storia d’amore tra Arturo e Lucia. Penso che loro hanno un amore profondo, vero, autentico, e come tutti gli amori veri e autentici è fatto anche di errori, equivoci, liti, liti in cui purtroppo per passione si dice una parola di troppo, e magari ci si ferisce. Ma l’amore rimane, ci si ferisce con amore. Penso che quello che provano loro è anche un sentimento struggente, come la fatica che si prova ad accettare come anche le cose più belle e più profonde possano finire. Questa è una delle cose più difficili da accettare. Questo è anche la durezza della realtà. Porre fine alle cose belle. Interromperle quando in realtà dentro non vuoi. 

Un’altra cosa che mi ha colpito è la scetticità generale dei tecnici, dei gestori del cantiere, e del paese in generale che non crede in fondo a Lucia e pensa sia solo una pazza. Probabilmente noi neanche sappiamo se in realtà è davvero pazza o no. A colpirmi è la reazione di Arturo, ed è quella disillusione della crisi economica che lo porta a chiederle chi ti paga per dire queste cose. L’ho trovato molto interessante perché si distingue molto dalla semplice “sei una ciarlatana”, dalla semplice incredulità. Va dritto ai soldi. Se dici qualcosa lo fai per avere un tornaconto personale. Ci guadagni qualcosa sicuramente. Bè, penso che nei momenti di crisi economica così grossa come quelli che stiamo vivendo noi, dato che veniamo da una crisi di più di dieci anni, una crisi drammatica dell’occidente, ancora più drammatica e forte di quella che fu il ’29 nel concreto, quotidianamente, nelle singole persone entri questa cosa qua, e morde e minaccia le tue sicurezze, la tua identità e il tuo equilibrio. Non è solo un fatto economico, ma è ancora più profondo, cioè solleva delle paure ancestrali che vengono da “Oddio. Come faccio a tirar su mio figlio, mia figlia?” Perciò è un sentimento e un qualcosa molto forte. Questo  ti cambia dentro: magari non te ne accorgi ma ti cambia. Penso che sia una contrazione. Un contrarsi della tua disponibilità verso quello che sta fuori di te. Come a una contrazione del cuore, e quindi tutto per paura viene riportato a un tornaconto: se faccio una cosa è perché faccio cento euro in più, mica sono scemo. Se non lo faccio sei pazzo, capisci? Credo che in questi periodi così tosti, così tremendi, ci si irrigidisce e si riduce la nostra capacità di libertà. 

Una domanda sulla scena finale. Perché hai scelto una grotta sotterranea con l’acqua? Non mi appassionano i racconti simbolici. Però qua l’acqua aveva qualcosa di fisico e preciso. Lei fa la geometra e fa delle misurazioni su un terreno sul quale devono costruire questa faraonica opera architettonica. Lei capisce che c’è qualcosa che non va, forse sa che non si può costruire li. Però non ha dei mezzi troppo sofisticati, come il laser, non è della NASA, ma comunque c’è un’anomalia là sotto; LA SOTTO. Questo è interessante. Là, sotto quel terreno e anche sotto di lei. E alla fine l’acqua è legata, anche in maniera molto semplice, a qualcosa che scorre, che va, che si lascia andare finalmente, e che quindi è come la vita che finalmente riprende a scorrere. Quindi è un’anomalia vitale. Lei, alla fine di tutto questo percorso piuttosto tormentato e faticoso, lei sente che c’è qualcosa che non va, facendo anche la figura di una deficiente. Non è più un geometra, è una ciarlatana, e infatti le sorridono come a una pazza. Nonostante tutto, quando c’è l’esplosione, si apre il buco e lei prende la figlia e la porta sotto, sotto, sotto, vede dei riflessi, va a veder e, là sotto c’è l’acqua. C’è l’acqua che scorre. Non si poteva costruire. Quindi ciò che lei sentiva era vero, e perciò aveva ragione.

Per quanto riguarda la realtà di questi tempi, in cui la gente non crede, crede poco o crede male, non crede più alle apparizioni mistiche. Come ti sei ritrovato ad affrontare un argomento del genere, dove non ci sono più le pastorelle che credono alla Madonna e fanno costruire delle chiese, ma ci sono ora delle geometre incredule. Come ti sei trovato e ritrovato a girare questo tipo di film, a concretizzare questa idea? Onestamente non avrei potuto girare un film con delle pastorelle che vedono la Madonna, contente, dicendo che hanno visto la Madonna. Non me la sarei sentita onestamente di girarlo. Invece, il fatto che lei fosse una geometra e quindi comunque legata anche a una razionalità concreta, e che fa questo lavoro perché deve crescere una figlia, insomma tutto mi riportava alla terra. Mi interessava il fatto che forse per paura, per problemi economici, lei alla fine si è aggrappata solo a questa razionalità. Come se dentro la sua vita abbia annullato anche la presenza di qualcun’altro, di provare delle cose altrettanto importanti, altrettanto vere anche se non si toccano. Questo è quello che sta succedendo dentro di lei, cioè quando dentro di noi tendiamo a non dare più importanza alla complessità dei sentimenti, quindi a qualcosa che non si vede, ma c’è, ecco che la nostra vita si riduce sempre di più, sempre di più. Questo ci fa inesorabilmente soffrire e lei sta soffrendo infatti. Arriva ad un punto di sofferenza insopportabile. Quando arriva a questo punto, e non a caso è il momento in cui decide, anche a malincuore, di tradire la terra dov’è nata e cresciuta, avallando le misurazioni errate. Tuttavia questo è un tradimento, il peggiore di tutti, perché sta tradendo la sua terra e proprio in questo punto scatta qualcosa dentro di lei che si ribella e viene dalla terra e da dentro se stessa. Quindi è molto potente e forte. Non è una ribellione, diciamo, a colpi di spritz, ma è molto più primordiale, più forte.

Invece per quanto riguarda la scelta degli attori. Avevi già in mente gli interpreti giusti durante la scrittura? Durante la scrittura no. Dopo mi sono posto il problema per cui sentivo che per come mi sarebbe piaciuto  fare il film, ci doveva essere un certo grado di verità, di autenticità forte, fortissimo; dovevamo credere a questa storia ancora più che a un’altra storia. Proprio perché metteva dentro un elemento così fantastico che, o diventa un film di genere, o un fantasy. Ma, se ci voglio veramente credere è talmente enorme l’assunto che ho bisogno di tanta verità. Quindi la scelta che mi è stata automatica è questa: pensare a degli attori di grandissimo talento ma che si portano dentro la capacità di rendere autentico qualsiasi cosa che fanno. Ho pensato solo ad Alba Rohrwacher, quindi è stato Elio Germano, quindi è stato Giuseppe Battiston e Carlotta Natoli. Li ho scelti tutti in questa chiave.

Mi hanno incuriosito le ambientazioni. Questa campagna e la città. Dove sono state girate le scene? Intorno a Tarquinia, Viterbo e la Tuscia. Tra nord Lazio e vicino la Toscana. Sono dei posti bellissimi rimasti ancora molto selvatici. 

Intervista a Gianni Zanasi condotta da Ettore Arcangeli e Lorenzo Borzuola.

Commenti

2 risposte a “Intervista a Gianni Zanasi – Un regista in cerca di autenticità”

  1. Avatar AnnieLopes
    AnnieLopes

    se ci voglio veramente credere?

    1. Avatar Ettore Arcangeli
      Ettore Arcangeli

      Penso lo possa fare.

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