Il 21 marzo 2020 sulla piattaforma Netflix è uscito l’attesissimo film Ultras, ambientato nel mondo estremo e violento della tifoseria calcistica. Si tratta dell’esordio alla regia del trentacinquenne napoletano Francesco Lettieri, noto per aver realizzato i videoclip del cantante Liberato – sul quale si basa la colonna sonora del film. La pellicola racconta le vicende di un gruppo di ultras napoletani che si fanno chiamare gli ”Apache” – come il famoso popolo di pellerossa. E sullo sfondo dello scontro tra i fondatori del gruppo, ormai il là con gli anni e tutti diffidati, e la parte più giovane, ansiosa di prendere il comando e fare a modo proprio, si delinea il percorso dei due protagonisti principali della storia: Angelo (Ciro Nacca) e Sandro (Aniello Arena).

il gruppo degli ultras Apache al ritorno da una trasferta

Angelo è un ragazzo sui sedici anni di una famiglia ”complicata”: il padre non c’è, la madre si ritrova incapace a fronteggiare il suo ruolo genitoriale, ed il fratello maggiore è morto tempo prima proprio in uno sconto tra ultras. Ed è proprio la mancanza di punti di riferimento che portano Angelo a ricercare una qualche ”forma paterna” in Sandro, ormai non più giovane capo-ultras e caro amico del fratello ormai scomparso.

”Raccontare una storia sincera” era stato lo scopo che il regista aveva dichiarato in un’intervista su Fanpage, quello di raccontare quindi una storia universale in cui chiunque vi si potesse riconoscere, anche fuori dall’interland napoletano. Ed è secondo quest’ottica che nella pellicola non vi è una concentrazione sui ”codici” e la ”mentalità” ultras, ma anzi il mondo ultras rappresenta soltanto lo sfondo della vicenda centrale.

Liberato realizza la colonna sonora del film Netflix Ultras
il cantante anonimo Liberato in una scena dei videoclip musicali realizzati da Francesco Lettieri

Per quanto riguarda invece l’assenza totale del campo di calcio nella pellicola si tratta di una scelta artistica del regista, il quale ci ha tenuto a rappresentare in questo modo la scissione tra il mondo degli ultras – ricordando che addirittura spesso il capo-ultras per adempiere ai suoi compiti ”militari”, passa l’intera partita con le spalle verso il campo e lo sguardo nella direzione della curva, come fosse un direttore d’orchestra – e il mondo vero e proprio del pallone. Se questa rappresenta un’intuizione interessante, appare meno condivisibile l’idea di non voler ”macchiare” la violenza del mondo ultras con la dimensione criminale. Lettieri ha dichiarato che dare per scontato il rapporto tra mondo ultras e criminalità sarebbe una banalizzazione. Se per certi versi questa scelta registica può essere condivisibile, riesce difficile riuscire a credere che i due mondi viaggino su binari completamente diversi.

Infatti in ”Ultras” perfino la dinamica degli scontri tra ultras e polizia è piuttosto assente – tranne che nel finale – diversamente ad esempio a film come ”Acab” (2012) di Stefano Sollima.

Sandro (Aniello Arena) e Pechegno (Simone Borrelli) in una scena del film

La struttura narratologica ricorda quella di ”Hooligans” (2005) di Lexi Alexander, dove, mostrando l’iter di ammissione di uno ”Yankee” ad un gruppo di Hooligans del West Ham United, si fa luce sulla funzione del cameratismo – soprattutto in gruppi che utilizzalo la violenza come valvola di sfogo sociale – come meccanismo di difesa contro tutta una serie di svariate forme di esclusione ed emarginazione sociale. Anche in ”Ultras” infatti è forte il ruolo giocato nella dialettica tra individuo o gruppo: entrando nella ”massa” ci si spersonalizza, il che richiede sforzo ma rappresenta anche un abbandono delle responsabilità, delle angosce e delle paure; si diviene un tutt’uno con i propri compagni; si condivide tutto; si vince insieme, si perde insieme, ma sopratutto si combatte insieme.

il gruppo degli ultras Apache in uno dei loro luoghi di ritrovo mentre preparano gli striscioni

A livello attoriale, a trionfare sulla scena è l’attore napoletano Aniello Arena (1968) portato sul grande schermo da Matteo Garrone nel capovaloro ”Reality” (2012). Arena negli anni è stato capace di tante ottime performance, lavorando con Garrone anche in ”Dogman” (2018) e con Claudio Giovannesi in ”La paranza dei bambini” (2019) – in cui interpreta abilmente un boss camorrista – tratto dal romanzo di Roberto Saviano. Con ”Ultras” Aniello Arena collezione un’altra interpretazione meritevole e conferma il suo lavoro sul personaggio che accomuna il suo percorso cinematografico.

Francesco Lettieri sul set di Ultras
il regista Francesco Lettieri mentre dà indicazioni sul set a Aniello Arena

Qui infatti veste i panni di Sandro, capo storico degli Apache, soprannominato ”moicano” per via del taglio di capelli di moda negli anni ’80 noto al grande schermo per la storica interpretazione di Robert De Niro nei panni del sociopatico reduce del Vietnam del film ”Taxi driver” (1976) di Martin Scorsese. Va notato che anche qui il soprannome gioca un ruolo simbolico: come non ricordare il film su Giancarlo Siani ”Fortapàsc” (2009) di Marco Risi. Nell’immaginario collettivo infatti i nativi americani simboleggiano, da un lato, la violenza e la brutalità del mondo selvaggio non addomesticabile, e dall’altro la forma più intransigente di ribellione e resistenza contro il dominio di un nemico avvertito come ”straniero”.

Per quanto riguarda la psicologia del personaggio di Sandro si ha quasi l’impressione che qui in gioco ci sia la struttura hollywoodiana – un po’ prêt-à-porter – di film come ”Jonh Wich” (2014) di Chad Stahelski o ”Deadpool” (2016) di Tim Miller. Ossia una dinamica in cui un individuo ben affermato in un mondo violento, non riesce a lasciarsi alle spalle la sua vecchia vita per ricominciare e trovare un accesso ad una tanto agognata quotidianità. Fulcro del personaggio diviene allora il rimuginare sul proprio passato, sulle scelte che consideriamo errate, sui percorsi che ci hanno portato ad essere ciò che siamo, e su come l’insoddisfazione del presente ci porti ad idealizzare uno stile di vita sconosciuto ma fortemente desiderato.

Aniello Arena è Sandro in Ultras, di Francesco Lettieri
Sandro (Aniello Arena) in una scena del film dove si vede chiaramente il tatuaggio del gruppo degli Apache

A livello strutturale il legame tra Sandro e Angelo invece ricorda il rapporto tra i due fratelli Vinyard del film ”American History X” (1998) di Tony Kaye. Sebbene qui la storia è ambientata nel mondo skinhead della costa est americana, la dinamica è la medesima: ossia il rapporto tra un membro consolidato (se non il capo) di un gruppo elitario di fanatici e un giovane aitante aspirante neofita che non desidera altro che entrare a far parte del gruppo. Cioè il nucleo è quindi la dialettica tra l’illusoria idealizzazione del giovane e la cinica disillusione dello scafato. Addirittura si potrebbe pure ipotizzare che Angelo e Sandro rappresentino lo stesso personaggio mostrato da due angolature diverse, differenziate da un buco nero temporale: ossia come se Angelo rappresentasse il passato di Sandro, e Sandro il futuro di Angelo.

Angelo (Ciro Nacco) e Sandro (Aniello Arena) in una scena del film

Tra i personaggi secondari sicuramente vanno ricordate le buone interpretazioni di Barabba (Salvatore Pelliccia) il più intransigente tra i padri fondatori degli Apache, colui che ha consacrato tutta la sua vita al mondo ultras e che senza il suo gruppo si vede perso; Pechegno (Simone Borrelli) capo esponente della parte giovanile del gruppo ultras; il Gabbiano (Daniele Vicorito) braccio destro di Pechegno, addetto ai cori, all’indottrinamento e alla disciplina nel gruppo; e Terry (Antonia Truppo), colei che più di tutti incarna il sogno di normalità che investe il Sandro.

il Gabbiano (Daniele Vicorito) in una scena del film

In conclusione si può dire che Ultras è dotato di una trama capace di ”prendere” lo spettatore, seppure sia sprovvisto di un’analisi antropologica di come il fenomeno ultras si sia radicato e sviluppato nell’ambiente partenopeo. Come pellicola offre spunti interessanti, sia a livello di riflessione che a livello strettamente artistico-cinematografico, oltre al brillante utilizzo delle musiche di Liberato – che si armonizzano perfettamente con l’uso della macchina da presa. Insomma un’altra visione di Napoli che si aggiunge al vasto panorama cinematografico-artistico e che merita – a modo suo – l’attenzione del nostro sguardo.

1 commento

Rispondi

Commenta!
Il tuo nome