Confessioni di un uomo per bene

Eccomi nella notte a vagare come un forsennato nella speranza di capire se sia giusto o sbagliato. Nella speranza di un segno tra noi, tra noi uomini comuni e mortali. Giusto o sbagliato! Ma chi può deciderlo? Io so solo che se una cosa è giusta è perché qualcun altro ti viene a dire che lo è e chi ci crede, quello, quel credere, allora significa che è giusto, se non ci credi vuol dire che per te non ha senso. Quante cose sono state processate per la loro falsità o troppa reale giustizia. Parlo di giustizia e nemmeno so cosa vuol dire. Ho fatto cose sbagliate nella mia vita ma mai di tale importanza, come quella per la quale ora sto sprecando tutto il mio tempo. Mesi, anni, giorni passati nel credere, spesi nell’interagire con persone della mia stessa cultura o diversa credenza. Ho visitato moschee, sinagoghe, chiese, ex tempi monoteisti del passato, quelli pagani e politeisti dell’antichità. Non ho mai studiato in una scuola, ho scoperto tutto quello che si doveva sapere a proposito di questo mondo viaggiando, leggendo, ridendo dell’altrui razza, delle altre religioni; a volte ho riso  anche della mia, quando mi dicevano che un uomo che spende nel migliore dei modi la sua vita, nel completo rispetto e prostrazione per il grande Allah, una volta morto avrebbe raggiunto il paradiso e il forse più ambito premio, quello che altre religioni non hanno. Settanta vergini, o giù di lì, con le quali passare l’eternità. Io ridevo da bambino, quando me lo dicevano, specialmente i saggi del paese da cui provengo, dove abitavo con la mia famiglia. Dicevo loro, a questi santoni, uomini di estrema intelligenza e conoscenza su tutto ciò che c’era da sapere sulle sacre scritture, “Io non voglio settanta vergini! Me ne andrebbe bene una sola!”. Quelli, nel sentire le mie parole, mi prendevano a male parole e il più delle volte ci voleva l’intervento di mio padre per placare gli animi e quando mi riaccompagnava a casa non mi picchiava, non lo faceva mai, ma ripeteva “Se c’è scritto che sono settanta, sono settanta, non discutere!”. Ma poi, perché proprio settanta? settanta cinque? Non si potrebbe fare un calcolo approssimativo e darcene cento, che ne so, cento dieci. Ero ignorante, incapace ancora di ascoltare e lo rimasi per parecchio tempo. Credo  di non aver mai letto il sacro libro prima della mia partenza da quella terra, tanto amata dai miei genitori. Ancora me lo ricordo. Ero bambino ma ricordo con esatta precisione il molo e il suo costante allontanamento quando la piccola imbarcazione giungeva verso  il mare aperto, celeste e limpido, così chiaro che se mi sforzo credo di poter ricordare il fondale sgombro  di pesci ed alghe verdastre; sabbia e sabbia bagnata per parecchi chilometri via mare, fino a quando non ci trovammo in mare aperto e ricominciava poi la terra. Entrai in una scuola normale, una di quelle all’avanguardia, dove ognuno era uguale il colore della pelle, seppur solo olivastra, non contava. Una bella scuola francese e vicino alla costa per di più. Mi abituai quasi subito a parlare francese più frequentemente di quanto non facessi al mio paese, e mi piaceva. È una lingua sonora, musicalmente divertente e nessuna sillaba o consonante veniva sprecava, mi piaceva per quello. Quando imparai a parlarla come un madre lingua ero al settimo cielo ed  uscivo con i miei nuovi amichetti fiero di essere uno di loro e francese per giunta. Il mio vecchio cercava di mettermi in guardia, di continuare a rispettare i miei impegni da buon credente o Allah non avrebbe fatto niente per rendere felice e serena la mia esistenza, ma io me ne fregavo, di Allah, Maometto e tutti quegli invasati che si inginocchiavano come pecore, me ne fregavo altamente. La Francia era un paese libero, egualitario, e io continuavo i miei studi e le mie esperienze da uomo libero ed egualitario, nessuno che mi dicesse niente. Ero felice, tranquillo e sereno, avevo trovato anche un lavoro, frequentavo luoghi culturali, frequentavo persino le chiese sebbene non avessi interesse nemmeno per quel genere di Dio, tanto solo ed unico quanto dittatoriale e ingiusto, che se rifletto un istante sono sicuro di poterlo accostare per carattere e dominanza al mio, al mio caro Allah. Due dei giusti per se stessi e ingiusti per gli altri. Una fede che per entrambi era basata sulla paura di sbagliare ed essere servo solo a se stessi. No, io me ne sbattevo altamente, proprio nemmeno ci pensavo, e mentre altri  miei compaesani seguivano alla lettera gli insegnamenti prestabiliti io ero felice, appagato, spensierato. Poi ci fu qualcosa in me che venne modificato, o da altri o solo da me, ma che non mi fece pensare e vedere più niente come prima.

È vero che più ci si invecchia e più si abbisogna di qualcosa o qualcuno a cui credere cecamente. Molti lo fanno perché hanno paura, altri perché non hanno niente di meglio da fare, altri per paura di essere giudicato dopo la propria dipartita e a qualcosa si devono pur affidare. Credevo di non essere come loro, come la maggior parte degli uomini, ma cedetti, cedetti immancabilmente forse anch’io per paura di essere uno che non credeva a nulla oppure per spirito di vicinanza, o forse anche per noia, non lo so di preciso. Cominciai ad interpretare tutto il mondo attorno a me come un qualcosa di marcio, di fetente, di sporco e invasato anch’esso allo stesso  tempo, non rendendomi conto che ero io il più invasato tra quelli. Probabilmente nemmeno ci pensavo all’inizio, a questo gruppetto di uomini spietati che chissà per cosa combattevano, ma poi il primo scoppio, il primo attentato nella capitale mi diede da pensare. Il secondo, dentro quel teatro, mi fece distaccare un po’ di più dalla concezione democratica di questa società occidentale. Gli altri che furono e vennero come un vento caldo e gioviale, come se fosse arrivato direttamente dal deserto  di Maometto, mi permisero di fare a me stesso  un lungo studio della mia mente e della mia coscienza inaridita. Iniziai quasi  subito a rendermi conto di aver infangato la mia cultura, la religione e il dio che mi aveva plasmato proprio perché potessi  servirlo nella maniera migliore. Avevo perso il filo della mia vita, avevo tralasciato i miei obblighi. Troppo tempo ero rimasto spaparanzato nel  morbido cuscino di questa società occidentale senza rendermi conto che era impestato. Piattole e piattole di gente sgradevole votata al denaro e al malloppo, distaccata completamente dal vero senso della vita, fedeli al consumismo, alle proprietà. Consumatori di raziocinio, di libertà di stampa, libertà di genere, di parola, consumatori forse della più terribile delle malattie, la democrazia che annienta tutto e come un velo soporifero ti porta ad una totale apatia, una lunga non curanza. Leggendo le sacre scritture che mi furono portate direttamente da un mio lontano cugino che viveva ancora in quella terra da me abbandonata, capii quale era veramente il mio scopo, e se prima avevo creduto il falso, incapace di comprendere il nostro inferno e il nostro paradiso, ora mi rendevo conto di essere immerso nell’inferno e di voler rivendicare al più presto il mio paradiso perduto. Avevo tradito il mio popolo, avevo tradito il nome della mia famiglia; se ripenso a quegli anni buttati per correre dietro a questa ipotetica libertà, quando la vera libertà è nei  giusti e per me loro, questi barbari, come li chiamavano alcuni, questi vendicatori assetati di sangue, erano una manna dal cielo, un segno di salvezza e di speranza ed io sapevo che ero pronto a seguirli.

Mi ci volle un po’ prima di decidermi. Meditai, meditai, commisi qualche reato ma roba da niente. Era giusto un alibi per capire se ero veramente pronto a spingermi un po’ più oltre, rendendomi finalmente conto che non avevo altra scelta che fare il grande passo. Allah mi avrebbe perdonato. Salutai i miei parenti, la mia donna, pregai il tempo sufficiente per una preparazione oltre che spirituale anche psicologica, e poi partì, con un camion che riempì di armi finte, non so nemmeno perché lo feci, forse per spaventare chiunque mi avesse fermato. Avevo con me anche una pistola, vera naturalmente nel caso mi potesse servire, ma avevo tutto un piano già prestabilito. Il giorno? Non lo scelsi  a caso; non è che mi gettai per strada in un giorno qualsiasi, nessuno avrebbe capito il mio gesto e invece volevo proprio che mi capissero.  Questa gente, sicura di  essere al sicuro, la colpirò nel giorno più importante. La parata era già iniziata, i fuochi d’artificio avevano iniziato a scoppiare, altro simbolo di ragionevole pazzia e spreco. Hanno perso la retta via, ora ci penso io a fargliela ritrovare. Misi in moto il camion e mi avviai in strada sicuro di raggiungere la Promenade, il luogo prescelto. Coccarde e bandiere a mezz’asta tappezzano la città, quelle stesse bandiere alle quali tempo prima avevo giurato fedeltà, ora mi si torcevano contro, sventolando ai miei occhi. Non fu difficile arrivare lì; con questo camion pensavo che mi avessero fermato molto prima e invece nessuno aveva bloccato la mia strada. Appena mi trovai faccia a faccia con l’intera folla abbarbicata su di quella strada, chiesi perdono a dio e mi ci gettai addosso. Per ogni rumore che sentivo, per ogni tonfo che il mezzo accusava sapevo di aver commesso  omicidio ma non mi fermavo, non potei più farlo e quando vidi un poliziotto affiancarsi a me nel vano tentativo di fermarmi io gli sparai e lui era già un eroe nazionale, io solo un assassino. Riuscirono per mia fortuna a fermarmi quando tutto era ormai nel caos più completo  e come in un gelido istante riempirono il mio corpo di piombo e non ebbi neanche il tempo di dire niente. Accasciatomi sul sedile, per quei dieci secondi di vita che restarono al mio corpo, mi consolavo pensando a tutte quelle vergini che avrebbero colmato quel vuoto interminabile.

Vedete, se devo essere sincero il giusto o sbagliato, io ancora non l’ho capito. Sono sempre stato un uomo per bene, come gli altri, ho sempre agito secondo  il mio personale modo di vedere le cose, quello che secondo me era più giusto, anche se adesso laggiù stanno tutti dicendo che ho sbagliato. Niente è veramente giusto, ci sono sempre delle discordanze che non finiranno mai.  Si forse sono ancora un po’ imbambolato per quello che è successo e non riesco a mettere a fuoco bene la situazione. Quello che ho capito è che sono già tre giorni che sto qua e delle settanta vergini ancora nemmeno l’ombra. Spero di trovare almeno una copia di Charlie Hebdo così mi faccio quattro risate!

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Pillole di Jenus

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Una risposta a “Confessioni di un uomo per bene”

  1. […] si può continuare a parlare del 2016 senza toccare temi drammatici. Terrorismo e catastrofi naturali hanno insanguinato le cronache e per l’appunto il web, anch’esso vestito […]

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