Basato su un caso di cronaca nera realmente accaduto e mai risolto, Non si sevizia un paperino è l’opera più celebre di Lucio Fulci, che attraverso un giallo dalle forti tinte horror mostra allo spettatore il contrasto fra l’arretratezza di un piccolo paesino del sud Italia ed il progresso, figlio del boom economico del dopoguerra. A 30 anni dal suo ultimo lavoro, Noir in Festival decide di omaggiare il regista con una rassegna dedicata ai suoi capolavori, fra cui non poteva mancare il film che all’epoca fu tanto contestato dalla critica.
Non si sevizia un paperino – Dalla cronaca alla finzione
Come molti altri film horror di successo anche questo deve la sua nascita ad un fatto di cronaca realmente accaduto: a Bitonto, paesino della provincia di Bari, l’11 settembre del 1971 viene recuperato il corpo di un bambino dal fondo di un pozzo. In meno di due anni, altri quattro cadaveri di infanti vengono rinvenuti in circostanze analoghe. Malgrado le indagini della polizia e l’attenzione mediatica non venne individuato nessun colpevole, e i sospettati che erano stati accusati degli efferati omicidi vennero rilasciati.
Per quanto questi eventi siano terribili e crudeli, stimolano nella maggior parte del pubblico una morbosa curiosità, un raccapriccio che inspiegabilmente cerchiamo di procurarci ricercando maggiori dettagli, mentre ci copriamo gli occhi spaventati per spiare fra le dita. D’altronde questo triste episodio contiene tutti gli elementi necessari per costruire un giallo di successo: un’ambientazione monotona ed ordinaria che si rivela improvvisamente lo scenario di atroci omicidi ed il sospetto che dilaga all’interno della comunità: furono infatti molti gli indagati e tutti imparentati fra di loro. Non stupisce quindi che Lucio Fulci abbia attinto da questa vicenda per la sua pellicola, così come non stupisce la reazione della critica all’uscita del film, avvenuta nello stesso anno in cui venne ritrovato l’ultimo cadavere.
Oltre all’indignazione di chi riteneva che si mancasse di rispetto alle vittime e ai familiari, il regista si trovò costretto ad affrontare l’accusa di corruzione di minore proprio a causa di una sequenza della pellicola. Questi episodi, uniti anche alle minacce di ritorsione da parte della Walt Disney per il titolo (che inizialmente era “Non si sevizia Paperino” a cui in seguito venne aggiunto l’articolo indeterminativo) contribuirono ad accrescere la fama dell’opera.
La maestria di Fulci
Nonostante sia stato proiettato per la prima volta nel 1972, Non si sevizia un paperino resta tutt’oggi una pellicola capace di spaventare e di impressionare. Tutto merito del genio di Fulci che impaurisce attraverso una regia fatta di tagli improvvisi e movimenti veloci, realizzando così un film che si contrappone all’horror in senso classico. Già dalle sequenze iniziali si intuisce la particolarità di quest’opera rispetto al genere a cui appartiene: un’autostrada assolata in un tipico paesaggio dell’Italia meridionale, un paesino di provincia e le spensierate bravate di un trio di ragazzini. Questa tranquillità verrà però bruscamente interrotta dal primo di una lunga serie di omicidi, che vede vittime i bambini del paese.
La bravura del regista consiste proprio nella capacità di impaurire senza utilizzare i cliché soliti dei film dell’orrore, ma soprattutto nel saper ricreare il clima di incertezza e di diffidenza che dilaga nelle piccole comunità quando si trovano costrette ad affrontare un evento simile. Con il procedere delle indagini lo spettatore viene portato a sospettare di numerosi personaggi, avendo ogni volta l’impressione di essere giunto alla soluzione del caso, per poi ritrovarsi di nuovo al punto di partenza.
Fulci utilizza quindi una storia horror come pretesto per raccontare del contrasto che si viene a creare nel sud Italia del boom economico, dove l’avanzata del progresso sociale e tecnologico si scontra con una realtà ancora pregna di paura e superstizione. L’argomento del contrasto è uno dei temi più sentiti dal regista, che non si limita ad inserirlo all’interno della trama, ma arriva a metterlo in pratica nella sua regia: emblematica la scena della sanguinosa aggressione nel cimitero con il sottofondo musicale di Quei giorni insieme a te di Ornella Vanoni, che accompagna la sequenza dando vita ad un fortissimo ossimoro.
Ritroviamo il soggetto del contrasto anche nelle due protagoniste femminili: la misteriosa e spettrale figura della Maciara interpretata da Florinda Bolkan (Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto) che incarna l’essenza della superstizione contrapposta al personaggio di Barbara Bouchet che interpreta Patrizia, personificazione del progresso e dell’emancipazione femminile. Singolare che sia stata proprio la scena di nudo della Bouchet a far finire sotto processo Lucio Fulci, che si ritrovò a doversi difendere dalle accuse di corruzione di minore. Accuse totalmente confutate, dal momento che la scena in cui Patrizia si mostra nuda al figlio della propria governante è stata realizzata tramite tecniche di montaggio e di controfigure.
Non si sevizia un paperino resta quindi una pellicola che è ancora capace di spaventare ma i cui contenuti vanno oltre il semplice film horror, uno dei film che meglio esprime lo spirito artistico di uno dei maestri dell’horror italiano.
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