Nope, scritto e diretto da Jordan Peele, è il terzo film firmato dal regista newyorkese ed è la sua terza perla. La trama è lineare con un colpo di scena ben piazzato, che colpisce lo spettatore senza sconvolgerlo e che si lega perfettamente al filo della narrazione.
Il film racconta la storia di Otis Haywood Junior (Daniel Kaluuya) e sua sorella Emerald (Keke Palmer) che ereditano il ranch del padre, pioniere nell’addestramento di cavalli per il cinema, e delle loro difficoltà per portare avanti il business del padre dopo la sua strana morte. L’arrivo di un UFO in prossimità del ranch potrebbe fornire ai nostri delle riprese vendibili al fine di risollevare l’economia dell’impresa di famiglia. Altri personaggi con le loro storie e le loro caratterizzazioni aiuteranno ad articolare lo spessore dell’opera.
“Sto parlando con la nobiltà cinematografica quindi!“
Jordan Peele scopre le carte e mette in scena un film di altissimo livello. Il film vede ben scanditi 3 atti, distinti da un’evoluzione ben ritmata della narrazione e accomunati dall’ironia e l’orrore – solo il terzo piega vertiginosamente verso l’epico-western più che verso l’horror-fantascientifico.
Registicamente si ispira ai più grandi, sia dietro la camera, sia durante la scrittura; al contempo, però, è più che contemporaneo in entrambi gli ambiti. I campi lunghi, le prodezze nel maneggio e l’ambientazione del ranch alimentano il respiro western; i colori freddi, e la costruzione della tensione riportano con i piedi nell’horror.
“È complicato da fare?”
“Per me no, ma voi non ce la farete.”
È stato detto da Richard Roeper – critico del Chicago Sun-times – che il film è “più della somma delle sue parti”, questo è però possibile quando l’idea di fondo è solida e le parti sono eccellenti. La camera di Peele non è mai mossa da protagonismi registici e i tecnicismi sono sempre ben sfruttati per alimentare tensione o pathos; inoltre può poggiare sulla fotografia di Hoyte van Hoytema. Il regista, grazie agli occhi del fotografo, riesce a portare su schermo dei momenti che ricordano altri film di tensione legati a figure animali. Nope ricorda Lo squalo di Spielberg nei movimenti dell’alieno e in alcuni personaggi secondari, e Gli uccelli di Hitchcock per l’eleganza estetica di alcune scene.
Michael Abels si occupa della composizione delle musiche. La colonna sonora del film è più che variopinta. Descrive perfettamente il clima leoniano con l’eroe silenzioso a cavallo e la presenza aliena potente e predatoria. Riesce a semantizzare persino il lavoro di montaggio – come Sunglasses at night di Corey Hart che attacca nel momento in cui O.J. comprende di non dover guardare negli occhi la creatura per non farsi attaccare e l’alieno si allontana tanto da far rifunzionare i dispositivi tecnologici, subito prima del taglio.
Menzione onorevole va a John Burn, sound designer. La colonna sonora si flette e si metallizza con l’avvicinarsi della creatura, inoltre si sentono i rumori provenienti da ciò che ingerisce. Non mancano dei silenzi che accrescono la tensione: questo permette di avere un terreno più che adatto alla costruzione della suspense.
“Ti getterò addosso lordure, ti renderò spregevole, ti metterò alla berlina”.
(Nahum 3:6)
È un passo biblico che apre il film, seguito da un personaggio che apparirà indirettamente per tutto il film: una scimmia. La vicenda di Gordy – scimmia protagonista di una serie tv che durante le riprese si infurierà uccidendo un attore e sfigurando la cooprotagonista – è tanto un flashback di uno dei personaggi, Ricky “Jupe” Park (Steven Yeun), quanto un’importante chiave di lettura dell’intera opera.
Ancora una volta, Peele ci vuole parlare della diversità, ma non solo razziale; questa volta in chiave più generale, anche tra uomo e animale. Gordy, Lucky, Jean Jackett, tutti gli animali nel film, vengono piegati alle categorie umane: usati per il profitto, e i loro bisogni vengono stritolati nella morsa delle necessità del business. Il personaggio di Park è il simbolo dello sfruttatore e di come la natura si ribella in maniera direttamente proporzionale a quanto la si vuole domare, la si vuole mettere alla berlina, la si vuole rendere spregevole.
Il regista non vuole, però, creare un nemico che non sia il sistema sociale stesso. Da piccolo, Jupe, era sul set durante la furia di Gordy, ha assistito ed è stato incosciente autore dello sfruttamento animale. Incamerato questo non può che esserne ancora artefice e subirne di nuovo le conseguenze.
“Jean Jackett… Chiamalo Jean Jackett”.
L’alieno viene rappresentato come un disco volante e tutte le sue caratteristiche vengono sin dall’inizio presentate – il campo di distorsione elettrica, la pioggia di detriti e la nuvola immobile – ricalcando tutti i cliché del genere, se non fosse che non si tratta in realtà di una nave, bensì di un animale con istinti predatori e che nasconde il proprio corpo all’interno apparendo, una volta spiegato, come un Eldrazi del mondo di Magic the Gathering, oppure un angelo di tradizione ebraica. Entrambi i significati di Jean Jackett sono sostenuti registicamente. Il disco volante è veloce, evanescente e inquadrato sempre dal basso: il predatore si presta a inquadrature che riflettono a volte la sua maestosità, altre la prontezza nello scattare verso la preda.
“Io mi chiamo Emerald, lui è O.J., e oggi siamo i vostri addestratori della Heywood Hollywood Horses“.
O.J. è il nostro eroe, colui che incarna i valori che Peele vuole promuovere. Il personaggio di Kaluuya ama il significato ampio della famiglia – tutti i soggetti amati con cui si cresce, per cui anche i cavalli – e sa rispettare l’essenza che caratterizza gli altri soggetti, la loro differenza – motivo per cui riuscirà ad agire anche rispetto all’alieno senza ferirlo, per quanto sia possibile, e senza ferirsi.
La società ha bisogno di businessman pronti a tutto per denaro, O.J. non è un uomo d’affari e prova difficoltà a portare avanti rapporti lavorativi in un mondo così violento. E fa proprio quello che fa un eroe: rispetta l’alterità reale – quella tra l’essere umano e la natura – e si sacrifica per custodirla. La natura non è un nemico sleale: rispetta chi fa lo stesso e Otis Junior ricompare a cavallo, dietro la polvere, con un’epica musica stridente, come un vero cowboy sa fare.
“Andrà tutto bene Angel. Non meritiamo l’impossibile“.
Ultimo tema che Nope tratta è il cinema stesso. L’alieno assomiglia a una macchina da presa che tutto può catturare per poi vomitarne la parte peggiore, ma al contempo può essere il riflesso di grandi cose. L’unico modo per non morirvi? Non cercare in essa la perdizione – che nel film si traduce con non guardare l’alieno negli occhi. Il cinema è anche la fonte di sussistenza dei nostri “cavalieri”, ciò che porta la ragazza di Angel (Brando Perea) a lasciarlo e quello che ispira fino alla morte il fotografo Antlers Holst (Michael Wincott).
Le grandi opere sono contrassegnate da una pluralità di significati, da una grande idea di fondo, dal riconoscimento dell’eredità sia tecnica che ideale. Tutti questi elementi, se alimentati dalla voglia di parlare della realtà e dalla sensibilità per ascoltarla, non possono che portare ad un capolavoro. Con Nope si è davanti al grande cinema. Con Jordan Peele si è davanti a un grande regista che ha le carte in regola per firmare parte della storia della settima arte.
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