Oliver Twist – L’eroe di Dickens visto da Roman Polanski

Oliver Twist, secondo romanzo di Charles Dickens pubblicato nel 1837: in Italia solo dieci anni più tardi. Uscito con il titolo Oliver Twist; or, the Parish Boy’s Progress, è uno dei grandi capolavori del suo genio letterario e artistico assieme a Canto di Natale, Tempi difficili, David Copperfield e Il circolo Pickwick.

Opera maestra della letteratura inglese dell’Ottocento, quella impregnata di impegno civile, lontana dai grandi temi del Romanticismo. Al cinema il personaggio dell’orfanello che scala i gradini della società ha dato i suoi frutti. Oliver Twist è stato fatto in tutte le salse, dalla pièce teatrale al musical di Carol Reed del 1968, vincitore di ben 5 premi Oscar, fino al classico Disney, Oliver & Company.

Nel 2005 Roman Polanski dirige una nuova trasposizione di Oliver Twist, romanzo di Charles Dickens.
Oliver Twist (2005).

Tuttavia uno dei più belli, e sicuramente uno dei più ispirati lavori cinematografici, è la trasposizione del 2005 diretta da Roman Polanski. Dopo l’oscar al miglior film nel 2002 per Il Pianista, Polanski riprende l’eroe di Dickens rimodellandolo a modo e suo e interpretando le avventure con un gusto diverso e più personale. Il risultato è sublime.

Oliver Twist – La trama

Dopo essere portato in orfanotrofio e messo a lavorare per pochi spiccioli e poco cibo, il piccolo Oliver Twist, interpretato da Barney Clark, viene affidato prima ad uno spazzacamino e poi ad un becchino. Maltratto e sfruttato, decide di scappare e dirigersi verso la caotica Londra. Nella grande città, protagonista della rivoluzione industriale, Oliver incontra Dodger che, dopo averlo sfamato con le sue tecniche di ladro, lo presenta ai suoi amici.

Conosce lo scaltro Charley Bates, la buona e gentile Nancy, ma soprattutto il vecchio Fagin. L’arcigno ebreo, che gestisce la banda di piccoli malandrini, vorrebbe crescere Oliver alla nobile arte della ladreria. Peccato che il ragazzo abbia altri piani. Dopo aver conosciuto il vecchio e distinto Signor Brownlow, ed essersi affezionato a lui, Oliver vorrebbe cambiare vita. Tuttavia dovrà fare prima i conti con Fagin e con il pericolosissimo William Sikes.

Polanski accorcia il romanzo, togliendo alcune parti e personaggi che in questo caso non sembrano necessari. Il fratellastro di Oliver, la storia della madre o il personaggio del Signor Bumble, che nel romanzo ricopre una porzione più ampia, nel film vengono accantonati o toccati appena, lasciando spazio ai temi cari a Dickens e cari e familiari anche allo stesso Polanski.

Il lavoro minorile e lo sfruttamento che rappresentano la logica della grande società industriale che si sviluppa e cresce. Il rapporto adulto-bambino, il sistema educativo inglese dell’800 e la dimensione fanciullesca, ora alienata e non più riconoscibile nei giochi spensierati, bensì in un trattamento feroce e crudo che piega o spezza. Ma Oliver Twist è un ragazzino risoluto, proprio com’era Dickens e come è stato anche Polanski prima di diventare il grande regista che tutti conoscono.

Oliver Twist, anno 2005.
Roman Polanski dirige Barney Clark durante le riprese di Oliver Twist.

Lo scrittore, che con il suo protagonista condivide l’infanzia difficile e molti episodi segnanti, si cala nei panni del cronista e del reporter per realizzare una dettagliata, vera e brutale descrizione dei bassi fondi dell’Inghilterra vittoriana. Sopra ci sono ricchi, i direttori di ospizi e alcuni rappresentanti della giustizia; il benessere. Sotto i ladri, le prostitute, gli assassini, i lavoratori sottopagati. In mezzo, la figura del bambino, che prima o poi dovrà decidere da che parte schierarsi.

Oliver Twist, come spesso accade con i suoi film, tocca anche tematiche nelle quali Polanski si riconosce. In questo caso l’infanzia segnata dalla guerra, dal nazismo, dal fatto di essere ebreo, e dalla perdita della madre, morta nei campi di sterminio. Polanski come Oliver viene privato della purezza e costretto a crescere in fretta. Tali temi, che scorrono e si notano in tutta la sua filmografia, si concretizzano prima nella figura reale di Władysław Szpilman, e poi anche nel personaggio immaginario del piccolo Oliver.

Con la fotografia di Pawel Edelman, già collaboratore del regista ne Il Pianista, e le musiche di Rachel Portman, Polanski restituisce un certo verismo nell’evoluzione di Oliver, da piccolo ladro a ragazzo per bene. Verismo che è fedele e allo stesso tempo lontano dal romanzo, potenziato dalle interpretazioni degli attori.

Degni di nota sono i giovani interpreti come il già citato Clark, Harry Eden nei panni di Dodger e Lewis Chase in quelli di Charley Bates. Poi ci sono Jamie Foreman, Leanne Rowe, Mark Strong, Edward Hardwicke, e molti altri. Ma la figura del vecchio Fagin è quella davvero più affascinante di tutte. È il personaggio che, dopo Amleto e Macbeth, gli attori inglesi vorrebbero interpretare. A teatro, nel musical Oliver! tale ruolo è stato ricoperto nel corso degli anni da noti attori del cinema e della televisione come Omid Djaili o Rowan Atkinson.

Ben Kingsley veste i panni di Fagin.

Nel film del 1948 di David Lean, Fagin era interpretato da Alec Guinness e in quello di Reed da Oliver Reed. Nel lungometraggio di Polanski c’è Ben Kingsley a ricoprire questo ruolo. Con il regista Kingsley aveva già avuto modo di collaborare ne La morte e la fanciulla. Nonostante i grandi divi del passato, il suo Fagin è uno dei più riusciti e incantevoli. L’attore premio Oscar nel 1983 per il film Gandhi, dà a questo personaggio spregevolezza e generosità, ironia e severità, malizia ma anche bontà nei confronti dei suoi figli/operai minorenni. Dietro ai suoi capelli rossicci e al suo naso adunco c’è tutta una cultura millenaria che già Shakespeare aveva usato. Dickens non si tira indietro.

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