La famigerata Trilogia della nevrosi di Elio Petri non poteva che concludersi con una parabola nera e alienante sul denaro. Se Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto riguardava la nevrosi del potere e La classe operaia va in paradiso quella del lavoro, La proprietà non è più un furto si concentra invece sull’ossessione e la paura del Dio denaro.
Spacciatosi da film appartenente al filone della commedia all’italiana mettendo sui manifesti la faccia di Tognazzi, La proprietà non è più un furto è in realtà un cupo e al quanto visionario incubo sulla modernità, diretto da un regista all’avanguardia. Qui Petri sembra addirittura superarsi con uno stile in continuo mutamento, un connubio di attori davvero distanti tra loro e soprattutto con una storia ritrae un futuro distopico, straniante e molto simile alla nostra era. Ma è solo l’Italia degli anni Settanta, quella delle stragi, della DC e della rivoluzione sociale.
La proprietà non è più un furto (1973) – La trama
Essere o avere? Questo si domanda morbosamente l’impiegato di banca Total (Flavio Bucci), affetto da una curiosa allergia al denaro e per questo costretto a indossare i guanti per lavorare. Vive in uno squallido appartamento all’ultimo piano di un palazzo con il padre, anche egli una volta bancario. Total è anche un ladro che ruba per ideologia e non per arricchirsi o perché è costretto, seguendo una corrente di pensiero che lui stesso chiama Comunismo-Mandrakismo.
Il ragazzo è infatti convinto di poter sconfiggere il capitalismo e per farlo inizia a perseguitare un ricco, avido e spregevole macellaio, proprietario di vari negozi, palazzi, ville, cinema e altre attività commerciali. Poco alla volta Total lo deruba di alcuni suoi averi come il cappello, il coltello, la macchina e anche la fidanzata. Si farà persino aiutare da Albertone, scassinatore professionista con il doppio lavoro di attore teatrale. Anche questo ladro romantico dovrà ricredersi difronte allo strano comportamento di Total, che continua per la sua strada.
Il macellaio, che inizia a temere il peggio per il suo cospicuo patrimonio, prima chiama la polizia chiedendogli di aiutarlo a trovare il ladro. Poi, e con i tanti mezzi che ha a disposizione, riesce ad avvicinarsi a Total per sapere ciò che realmente vuole. Ma ciò che Total vuole è infattibile anche per un uomo arrivato come lui. Per questo, dopo tragiche e anche assurde vicissitudini, si arriverà alla fine ad un vero e proprio corpo a corpo in ascensore.
In una Roma al confine tra passato e modernità, la pellicola racconta una storia in cui si respira tutta la decadenza di una società che sta andando verso il futuro. Eppure chi si era sempre arricchito prima, continua a farlo anche se tutto piano piano si trasforma. Total, interpretato da un Flavio Bucci a cavallo fra la macchietta e la follia, vorrebbe fare la differenza. Egli è disposto a smantellare dall’interno quel meccanismo capitalista che opprime e rende tutti schiavi e vittime di individui senza scrupoli come il macellaio.
Petri, Brecht e la società degli anni Settanta
Il macellaio è il simbolo di tutto ciò che in Italia si odia e che si continua ad odiare; perché nulla è mai cambiato. Gli sfruttatori, grassatori e i ladri apparentemente onesti come il macellaio sono l’emblema di un paese che non è stato e che non sarà mai pronto a cambiare. Questo personaggio, che allo stesso tempo è anche uno di quelli più riusciti e affascinanti del film, è interpretato da Ugo Tognazzi. Con accento romanesco, l’attore lombardo incarna perfettamente il commerciante immischiato, speculatore e maneggione, la cui malattia, al contrario di Total, è quella di arricchire sempre più.
Tognazzi e Bucci sono ciascuno la nemesi dell’altro; entrambi facce della stessa medaglia e di quella società paranoica e squilibrata che Petri descrive con cinismo e con un forte gusto per il grottesco e il sadico. Una dimensione questa che viene fuori quando ambienti tanto raffinati e apparentemente innocenti entrano in contrasto con quelli degli oscuri e notturni dei bassifondi.
La proprietà non è più un furto è quindi l’opera di un regista impegnato che cerca costantemente di rinnovarsi. È un film che vuole essere una critica forte alla società ma anche alla sfera politica, colpendo vari organi dello stato come quello della polizia. I rimandi al delitto Pinelli sono chiari come la luce del sole. Da un punto di vista più letterario anche quelli alle opere di Bertolt Brecht si vedono e toccano con mano.
Da Brecht, infatti, Petri ne acquisisce la satira aggressiva che aleggia per tutta la pellicola. Satira che si concretizza nella famosa scena del funerale, dove un giovanissimo Gigi Proietti, alias Paco l’argentino, tesse l’indimenticabile elogio del ladro al funerale di Albertone, richiamando al personaggio di Mackie Messer e a tutta l’Opera da tre soldi.
Per quanto riguarda gli attori di contorno possiamo vedere la compianta Daria Nicolodi, Orazio Orlando, il già citato Proietti, Elena Fabrizi, il fedele Salvo Randone presente anche nei due primi capitoli della trilogia, e infine un meraviglioso Mario Scaccia. Anche il suo, quello di Albertone, mezzo ladro e mezzo attore, è un personaggio davvero memorabile.
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