Una piccola premessa è sempre di regola. Con questa revisione dei capolavori di Monicelli non si cerca di stabilire un risultato che sia categorico e ultimo. Quando si tratta di classificare un qualcosa, che sia un’opera d’arte figurativa, scritta o filmata, è necessario si, andare in contro ai gusti del pubblico e restare all’interno di parametri scientificamente e statisticamente provati, ma alla fine una personale e soggettiva attenzione chiude il tutto; ed è per questo che non cerco di impartire né leggi né fondati dogmi ma solo un gusto piacevole e personale su di una determinata categoria, e un complesso gruppo di elementi, in questo caso artistici. (forse una banale e anche ingenua riflessione atta a non cadere nel malcontento. Pur sempre, e comunque, evitabile).
Così, per parlare di qualcosa che è insito nell’immaginario collettivo, in questo caso in gran parte italiano, si darà una semplice ma tuttavia seria classifica delle opere cinematografiche di uno dei tanti registi che hanno determinato, con il loro stile e tematiche, cambiamenti sostanziali sia in ambito della comprensione e visione di un mondo in crescita, sia nell’ambito immaginifico e sociale. Mario Monicelli è uno di quei maestri che non cessa di essere originale e straordinariamente contemporaneo; la mia classifica parte da lui, perché oltre ad essere stato un grande innovatore ha accompagnato e segnato la vita di altrettanti registi e spettatori. La sua è stata una carriera prolifica e ricca di continue sperimentazioni; insieme vanno a testimoniare l’epoca del Neorealismo e la sua trasformazione, passando per la commedia di costume fino a giorni più moderni.
Ecco la classifica dei dieci capolavori di Mario Monicelli più belli e da rivedere sempre.
10) Cari fottutissimi amici (1994)
Commedia del 1994 con protagonisti Paolo Villaggio e Massimo Ceccherini. Un film nostalgico che vuole, grazie al titolo, evocare il fortunato successo di “Amici Miei”. Molti elementi e particolari, in effetti, rimandano a quel passato che qui ritorna ma non con lo stesso brio e scalpore. Nella Firenze del ’44 un gruppo di pugili alle prime armi, praticamente un “Armata Brancaleone”, sono guidati da Sor Dieci (Villaggio) che li accompagna per la Toscana in cerca di interessati ai quali dar prova della loro abilità pugilistica, ma soprattutto per racimolare il sufficiente per mangiare e tirare avanti; tema centrale della pellicola che dall’inizio alla fine non si distacca un secondo dai personaggi.
9) Guardie e Ladri (1951)
Perla della fase neorealistica di Monicelli, Guardie e Ladri è senza dubbio uno dei film più tragici interpretati da Totò, nella parte del ladruncolo che campa di piccoli furtarelli per sfamare la famiglia, e da Aldo Fabrizi che interpreta un poliziotto bonaccione che deve a tutti costi acciuffare il ladro pur di non perdere il posto. Tra gag esilaranti e momenti di profonda riflessione, i due nemici finiranno per diventare, se non del tutto amici, almeno fedeli simpatizzanti ognuno delle doti dell’altro. Assieme a Steno, Monicelli rende più umano il personaggio di Totò e si avvia verso un cinema più libero, giocoso e allo stesso tempo di denunzia sociale.
8) Un borghese piccolo piccolo (1977)
Film del 1977, uno dei lavori più drammatici e grotteschi del regista. È la storia di Giovanni Vivaldi (Alberto Sordi), un umile impiegato che fa di tutto pur di far assumere il figlio nel suo stesso ufficio, pur entrando nella massoneria. Proprio il giorno dell’esame per l’assunzione dei nuovi dipendenti, al quale il figlio stava per partecipare, si ritrova coinvolto in una sparatoria e ne rimane ucciso proprio davanti agli occhi scioccati del padre. Nel frattempo la moglie di Giovanni apprende alla televisione della morte del figlio e un coccolone la rende paralizzata e incapace di parlare. Vivaldi si trasforma in una macchina assetata di sangue, riconosce l’assassino del figlio, e con la sua piccolezza e ingenuità riesce a catturarlo e lo porta in una piccola casetta in riva al fiume dove lo tortura fino a farlo morire. La trama è impregnata da questo sadico e grottesco svolgimento dei fatti resi ancora più crudi e marcati non solo da Sordi ma anche da personaggi secondari come il dottor Spaziani (Romolo Valli), i vari colleghi che descrivono quella parte di società dedita alla oziosa stabilità economica alla quale anche il protagonista è fedele. Quel fatto. Però, stravolge completamente il suo equilibrio arrivando ad abusarne in maniera massiccia e pur sempre mai scoperta e mai nell’occhio degli altri.
7) La ragazza con la pistola (1968)
Uno dei pochi capolavori di Monicelli in cui il protagonista principale è una donna, in questo caso Monica Vitti che, sulla scia dei film satirici contro le abitudini e i difetti del sud, come per esempio “Sedotta e Abbandonata” o Divorzio all’italiana, entrambi di Pietro Germi, interpreta la giovane Assunta Patanè, sedotta e poi scaricata da Vincenzo Macaluso (Giuffrè). Costretta a riparare al torto subito, lo seguirà fino in Inghilterra dove potrà diventare una donna indipendente ma sempre portatrice di pregiudizi e modi di fare puramente italiani, anzi della bella Sicilia.
6) Il Marchese del Grillo (1981)
Girato nel 1981, è un film in costume in cui compare sempre Alberto Sordi nei panni del protagonista. Con tutta probabilità il film più estroverso e comico dell’attore romano che nel ruolo del Marchese Onofrio del Grillo, si sbizzarrisce con un’infinità sequenza di sketch comici entrati nella storia del cinema. Monicelli, all’epoca già sessantaseienne, segna un nuovo punto nel tabellone delle commedie più spiritose e iconiche di sempre.
5) La rosa del deserto (2006)
Ultima opera del regista con un ricco cast di energici attori italiani quali Alessandro Haber, Michele Placido e Giorgio Pasotti. Il film è del 2006. Racconta la vicenda di una sezione sanitaria italiana in Libia nel 1940. Quando la situazione sembra acclimatarsi, ecco che la guerra arriva anche in quelle zone sperdute. Il maggiore Strucchi e i suoi compagni dovranno fronteggiare continue peripezie come il comando assunto dagli alleati tedeschi e l’invasione dei berberi. Il regista si fa forza e riesce a dirigere un altro buon film senza cadere in banalità, sebbene ci siano continui riferimenti ad altri suoi lavori e al suo modo di vedere le cose.
Da questo momento, iniziano gli immortali capolavori di Monicelli che tutti sicuramente conoscono.
4) I soliti ignoti (1958)
Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Tiberio Murgia, Memmo Carotenuto, Renato Salvatori e Carlo Pisacane, prendono parte, nel 1958, ad una magica interpretazione conosciuta in tutta Italia e fuori da essa. Il gruppo di ladri, intenti a compiere il colpo della loro vita, è composto da celebri facce divenute il volto di un opera maestra che continua, a distanza di anni, a divertire, facendo de I soliti ignoti un film di culto indimenticabile. Dall’impeccabile bianco e nero alla musica palpitante, tutto è reso in maniera sublime e mai noiosa. Da questo punto si può dire iniziata la commedia all’italiana.
3) La Grande Guerra (1959)
Del 1959, è una dura denuncia e messa in scena verso gli abomini subiti dai soldati italiani durante il conflitto del 15/18. Gassman e Sordi interpretano due soldati, uno milanese e uno romano, che, costretti a partecipare alla guerra, escogitano sempre nuovi piani per non combattere e rimanere in vita. Due codardi e lazzaroni che non hanno mai visto la morte in faccia come altri loro compagni, tuttavia, alla fine, catturati dagli austriaci, si faranno fucilare pur di non confessare il luogo prescelto per un possibile attacco italiano alle truppe nemiche. Moriranno uno accanto all’altro, come avevano vissuto la guerra, salvando il proprio onore e quello dell’intero reggimento. Ed è proprio questo finale crudo a dare un messaggio forte e di speranza: nonostante le differenze dialettali e sociali, quando si rendono conto di dover scegliere se tradire o morire, capiscono di preferire immolarsi per la patria, che prima tanto disprezzavano o fuggivano, e solo allora possono sentirsi uniti e veramente italiani. Una satira con alti e bassi fra il comico e il tragico, che Monicelli caratterizza sempre maggiormente, ponendo vari personaggi culturalmente regionalmente differenti, ma uniti da quella barbarie.
2) Amici Miei e Amici Miei: Atto II
Al secondo posto, così come sarà per il primo, è doveroso fare di due film come uno solo. Il primo è un’originale novità, il secondo un potenziamento anche dal punto di vista della trama e della psicologia dei 5 amici fiorentini che passano le loro giornate pianificando scherzi e zingarate per passare il tempo. La voglia di ridere e il gusto amaro di non prendersi mai sul serio: questa è a la loro religione. Due film che non badano molto al buon gusto bensì abbondano i volgarismi e gli aspetti misogini di una società all’apice del benessere economico eppure dislocato localmente nella vita di cinquantenni stanchi, mai adulti, guidati dallo spensierato godimento di una vita in terra piuttosto che nell’aldilà. Ciò che naturalmente non va d’accordo con una visione puritana o calvinista. Ma si è italiani, in questo caso fiorentini, e Monicelli è alquanto fedele nel descrivere e riportare. La sua giocosità nel dirigere, si mescola con quella dei cinque attori fuoriclasse che dalla prima parte entrano per sempre nei personaggi con il secondo atto. Un film che diverte sempre e aiuta a vivere meglio.
1) L’armata Brancaleone e Brancaleone alle crociate
Così come per i due “Amici Miei”, Brancaleone è qualcosa d’immortale che per la sua rivoluzionaria strategia narrativa si merita il primo posto, anche se fra gli altri due se la contendono molto duramente. Entrambi, a mio personale parere, non solo emozionano ma se riescono a cambiare anche il linguaggio e il dizionario di una lingua, hanno fatto gran parte del proprio lavoro. Con “Armata Brancaleone”, uno dei tanti modi di dire, si identifica un gruppo di personaggi sgangherati che hanno una meta ben precisa ma a fatica riescono a portarla a termine. Così il personaggio di Brancaleone da Norcia, entrato a far parte dell’immaginario collettivo, cerca gloria e potere ma come i suoi seguaci è anch’egli fatto della stessa materia allegorica, grottesca e divertente che lascia spazio alla comicità e anche a scene d’azione. Anche in questo frangente, il primo è la novità assoluta, il secondo una sperimentazione che non cessa di trasformare ed emozionare, con l’uso di un linguaggio innovativo e con la presenza di attori, in entrambi i casi, che si sono fatti le ossa con questa tipologia di cinema portando la diversa preparazione attoriale.
Sperando di aver accontentato un po’ tutti, ma seguendo il carattere monicelliano si potrebbe fare a meno di scuse e paroloni, è importante prendere atto di come ognuno di questi film è figlio del precedente, poiché portatori di una stessa matrice infinita e caratteristica. Quella gioiosa, giocosa, satirica e grottesca, e quella che non mette da parte aspetti più importanti come le diversità sociali all’interno di uno stesso popolo e al di fuori, la velata critica politica che rende meglio quando a farla è un personaggio che non viene dall’alto bensì dal popolo o dalla parte più bassa di esso. In conclusione, così come in tanti romanzi, i capolavori di Monicelli hanno un elemento fondamentale, che è quello del descrivere scherzando per poi riflettere. Da questo punto di vista Monicelli è considerabile un Cervantes del ventesimo secolo che e i suoi lavori tanti piccoli Don Chisciotte e Sancho Pansa, fautori e depositari di un’epoca in cui, sebbene la crescita e lo sviluppo, tendono sempre ad avere difetti che cercano di risolvere e migliorare con piani che non fanno altro che accentuarli, portando il riso e la drammaticità della vita agli occhi di un pubblico che si riconosce.
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